La strada: dove la fantasia diventa realtà

La strada, approfondimento sul film di Federico Fellini

«Non ci crederai, ma tutto quello che c’è a questo mondo serve a qualcosa. Ecco, prendi questo sassolino, per esempio. Anche questo serve a qualcosa, anche questo sassolino. E a cosa serve? È Dio che sa tutto: quando nasci, quando muori. E chi lo sa? No, non so a cosa serva questo sassolino, ma a qualcosa deve servire. Deve esistere per qualcosa. Perché se questo è inutile, allora è inutile tutto: anche le stelle. E anche tu servi a qualcosa, con la tua testa di carciofo». Che La strada di Federico Fellini nasconda innumerabili significati nel suo tentativo di svelare i segreti dell’uomo e dell’universo non è un mistero per nessuno. Le parole che il Matto rivolge a Gelsomina fuori dal circo evocano chiaramente una dimensione altra, uno stato di perfetto equilibrio in cui ogni essere è al suo posto, un mondo cosmologicamente perfetto. È buffo e romantico pensare che una visione del genere possa essere condivisa solo tra due emarginati in una conversazione privata. Per come stanno le cose, un’ingenua ragazzina e un acrobata fuori di testa sono gli ultimi testimoni del sogno di un universo in armonia. Prima di provare a comprendere come e in che quantità l’idea del Matto corrisponda alla realtà dei fatti, è meglio ricapitolare in maniera quanto meno generale la storia produttiva del film.

Il copione del film nasce già circondato da un’aria mista di magia e destino. Durante la fase di montaggio de Lo sceicco bianco, Fellini e Tullio Pinelli concepiscono stranamente due idee molto simili per un prossimo film. Entrambi, infatti, hanno pensato di incentrare il nuovo progetto sul mondo dei vagabondi (tema già elaborato più e più volte dal Federico vignettista); Fellini in particolare è intenzionato a concentrarsi sui piccoli circhi itineranti di allora. Pinelli stesso ha dichiarato: «Ogni anno, da Roma, andavo in macchina a Torino per rivedere i posti, la famiglia, i genitori. Allora l’Autostrada del Sole non c’era, si passava fra le montagne. E su uno dei passi montani ho visto Zampanò e Gelsomina. […] Questo mi ha fatto ricordare tutte le esperienze che avevo avuto nelle mie esplorazioni in Piemonte, nei mercati, nelle fiere, le persone che viaggiavano da un paese all’altro e i delitti impuniti che avvenivano sulle strade». È chiaro dunque che La strada affondi le sue fondamenta non solo nell’idea del vagabondaggio, ma anche nel richiamo di un’infanzia perduta, che Tullio ritrova nei sentieri di montagna e Fellini nel mondo circense e nelle vecchie aspirazioni da fumettista.

Inizialmente la sceneggiatura convince poco Ennio Flaiano (cinico di carattere, avrà da ridire anche su tutte le successive) e, come se non bastasse, il progetto trova estrema difficoltà nella ricerca di un produttore. Infatti, solo dopo essere passato per le mani di vari interessati, il progetto trova la sua destinazione presso la Ponti-De Laurentiis. A curare il lungometraggio è Dino De Laurentiis, grande estimatore di Fellini, ma di opinioni diametralmente opposte sul cinema in generale. I due discordano su vari aspetti del film. In primis, a Federico dispiace di veder morire il Matto; d’altro canto De Laurentiis vorrebbe lasciare in vita Gelsomina, decisione che, secondo il regista, priverebbe tutta l’opera del suo senso. In secondo luogo, il produttore vorrebbe Walter Chiari o Alberto Sordi per interpretare il ruolo dell’acrobata, ma entrambi sono molto distanti dall’idea che Fellini ha del personaggio.

La strada, approfondimento sul film di Federico Fellini

In maniera del tutto casuale, la questione del cast si risolve tutta in un unico momento. Durante la fase di pre-produzione de La strada, infatti, Giulietta Masina sta lavorando ad un film diretto e prodotto da Peppino Amato: Donne proibite. Tra i colleghi di Giulietta figurano anche Anthony Quinn e Valentina Cortese, il cui marito Richard Basehart si reca spesso sul luogo delle riprese. Dopo qualche uscita in compagnia, Federico si accorge di aver trovato sia Zampanò che il Matto. Sarà impareggiabile il ricordo che resterà nel cuore di Quinn dopo aver terminato il film. Quasi 40 anni dopo, nel 1990, firmandosi “Antonio” scriverà in una lettera a Federico e Giulietta: «Per me tutti e due rimanete il punto più alto della mia vita».

Le riprese sono disastrose. Dopo alcune settimane Giulietta ha un incidente e si sloga una caviglia, perciò la lavorazione è costretta a fermarsi. Inoltre, la maggior parte delle sequenze viene registrata completamente in esterni, peraltro in condizioni meteo decisamente poco favorevoli. A salvare lo staff nei momenti più critici, però, interviene una figura fondamentale per la realizzazione del film: l’organizzatore di produzione Gigetto Giacosi. Non importa quale sia il problema, Giacosi sa come risolverlo. È anche grazie a lui se La strada ha mantenuto uno spirito fortemente realista, almeno per quanto riguarda la sua realizzazione. Quasi nulla di ciò che appare su schermo è una ricostruzione in studio, tutto è reale, e spesso anche in maniera non scritturata e del tutto inconsapevole.

Ad esempio, nella sequenza in cui il Matto cammina sul filo sopra la piazza di Bagnoregio, la folla radunata sotto l’acrobata è formata per davvero dalla comunità del paesino: per raccogliere comparse a costo zero, Giacosi è riuscito a far anticipare all’8 aprile la festa del santo patrono. Si dice anche che la controfigura di Basehart, un vero equilibrista, abbia deciso di non utilizzare alcuna protezione, in quanto da quel numero, sopra le teste di quattromila spettatori, dipendeva la sua stessa reputazione. A tal proposito, per tutte le scene circensi l’organizzatore ha scritturato carovane e artisti del circo Zamperla, oltre ad aver nominato un certo Savitri, mangiafuoco e spezzatore di catene, come consulente di Fellini e di Zampanò. In caso di necessità, Giacosi fa persino nevicare: in assenza di neve ad Ovindoli, il 25 marzo è riuscito a rimediare trenta sacchi di gesso e tutte le lenzuola dei dintorni per rendere al meglio le colline innevate.

La strada, approfondimento sul film di Federico Fellini

Insomma, nelle riprese de La strada converge tutto lo spirito del cinema italiano dal dopoguerra fino a quel momento. Fellini, di scuola neorealista e assistente dello stesso Rossellini, non rinuncia alla materialità e all’immanenza che ha caratterizzato il cinema degli anni precedenti e mette in scena una storia che segue gli ultimissimi della società. Tuttavia, la fantasia e i ricordi d’infanzia esplodono e si concretizzano davanti alla macchina da presa. Non solo il profilmico, ma tutto il “set” diventa più che mai un luogo in cui il cinema prende vita e si riversa sullo schermo. «Il film di Fellini è cinema rovesciato, macchina da proiezione che ingoia la platea e macchia da presa che volta le spalle al set», scrive Italo Calvino. E proprio in questo sta l’immensità di Federico Fellini.

Una volta terminato e presentato al Festival di Venezia, La strada viene distribuito nelle sale italiane a partire dal 22 settembre del 1954. La ricezione da parte della critica è abbastanza altalenante. Il film viene apprezzato da pochi in Italia (tra cui, fra gli altri, Pier Paolo Pasolini), mentre all’estero si rivela un grande successo. Il problema per gli italiani sta proprio “nell’indecisione” del film felliniano. Chi lo giudica troppo criptico, chi lo ritiene un tradimento contro il Neorealismo, qualcuno addirittura lo definisce infantile (osservazione che, come abbiamo detto, non è del tutto errata). Vecchio, falso, insincero, letterario, irreale, patologico, velleitario, bamboleggiante: la critica si trasforma in una gara a chi ne scrive peggio. Il Centro Cattolico Cinematografico decisamente non lo approva: «La difficoltà di un’esatta comprensione del film da parte di un pubblico giovanile e l’assenza di freni morali nel protagonista consigliano di riservare la visione agli adulti». Di contro, la critica di sinistra protesta per la visione “spiritualistica” del Matto e paradossalmente si rifiuta di guardare all’Italia veramente emarginata e sottoproletaria che appare nel film. Come al solito, Fellini non trova il suo posto preciso nelle opinioni della collettività. Eppure, come il sassolino del Matto, anche lui dovrà pur averne uno, da qualche parte.

E forse il suo posto è solo lì, dietro la macchina da presa. Come è stato detto, con il suo “cinema rovesciato” Fellini ha reso tutto il mondo un set cinematografico. La vita è un grande circo e ogni uomo in fondo è un clown; davanti all’obiettivo, siamo tutti emarginati, siamo tutti soli e matti. La nostra follia, probabilmente, sta nel non credere alle parole del Matto, forse l’unico a non essere pazzo per davvero. A cosa serve il suo sassolino? Qual è il suo posto nell’universo? Forse, semplicemente, il suo posto è proprio quello in cui si trova. Un sassolino, come ce ne sono molti lungo la strada, che per caso viene raccolto ed esaurisce la sua funzione nel momento in cui appare davanti agli occhi dello spettatore. Lì, cristallizzato nel tempo e immortalato dalla cinepresa, diviene garanzia del fatto che il grande schermo non è fantasia, non è “spiritualismo”. Al contrario, è un portale per un mondo diverso, un mondo che va osservato con sguardo infantile, attraverso gli occhi del ricordo, nella forma di un fumetto. Fellini, restando dietro la macchina, ci ha assicurato che il portale restasse aperto e ha disperso il suo contenuto nel nostro mondo. Come il più grande degli artisti, ha catturato una realtà che non c’è, poi ne ha legittimato l’esistenza. Ed è tutto lì, davanti a noi.

BIBLIOGRAFIA

Kezich T., Federico. Fellini, la vita e i film, Feltrinelli, Milano 2021

Calvino I., Autobiografia di uno spettatore, in Fellini F., Quattro film, Einaudi, Torino 1974

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