#RomaFF19: Anora, la recensione del film di Sean Baker

Cenerentola si spoglia: via il vestito azzurro, via le scarpette di cristallo e cambio tinta. Anora è una sex worker di New York che si dimena in abiti succinti in uno strip club che nulla ha che vedere con il mondo fiabesco della principessa disneiana. Eppure, la realtà filmata da Sean Baker, regista della pellicola, non fugge dallo scopo didattico dello schema di Propp: la morale. Anora (trailer), film vincitore della Palma d’oro al 77° Festival di Cannes, è un moderno ritratto di marginalità che collidono

La stravaganza del soggetto mette in relazione due sfere sociali che forse spesso si incontrano e che difficilmente convivono. Da un lato una prostituta, Anora (Mikey Madison), dall’altro Ivan (Mark Ėjdel’štejn), figlio viziato di un oligarca. Da un lato gli Stati Uniti genuflessi, dall’altro la Russia che deride e viene derisa. I due giovani trovano un accordo: per 10 000 $ Anora sarà per una settimana la ragazza di Ivan. Tra sesso, alcol e droga finiscono per sposarsi a Las Vegas, in un apparente atto di sincero amore. Anora ha trovato la sua gallina dalle uova d’oro, ma appannata dalla nebbia dell’euforia non ha notato che in realtà è un pulcino. Infatti, l’idilliaca storia d’amore entra in crisi quando al ragazzo viene annunciato l’imminente arrivo dei genitori, avvisati del suo matrimonio con una prostituta. Allora lo spavaldo rampollo non può fare altro che fuggire in fretta e furia e lasciare sua moglie in una situazione paradossale. 

Anora si ritrova nella grande casa dell’oligarca con Garnik (Vačʻe Tʻovmasyan) e Igor (Jurij Borisov), i tirapiedi di T’oros (Karren Karagulian), faccendiere armeno della famiglia russa. È la svolta del film, non solo perché da ora in poi verranno abbandonati i toni classici della commedia romantica, non solo perché si trasformerà in una caccia all’uomo, ma soprattutto perché adotterà elementi di slapstick che daranno vita a una divertentissima screwball comedy. Ma se il critico Andrew Sarris definisce questo genere come «sex comedies without the sex», sicuramente Anora ne è l’eccezione. 

Il sesso è anche il contrappunto della ringkcomposition del viaggio della protagonista. Dallo sfarzo della relazione con Ivan, fatta di immaturi e rapidi amplessi, alla scena finale. Anora sale sul gopnik (giovane appartenente alle classi sociali più basse legate al decadimento culturale della Russia post URSS) Igor che l’ha accompagnata a casa, gli sbottona i pantaloni. Lui cerca di baciarla, ma lei desiste e scoppia in un pianto liberatorio, di chi sa che la fiaba è finita e che non c’è stata alcuna redenzione.

Insistiamo però sul gopnik, il re della commedia. Colui che con la sua purezza è risultato goffo e ingenuo, ma che piano piano si è ritagliato uno spazio sempre maggiore nell’inquadratura. Il suo è uno sguardo-monito nei confronti dell’incipit voyeuristico dove lo spettatore è condotto dalla camera a guardare sederi e seni senza soluzione di continuità. Il suo è un comportamento che non si lascia prevalere dagli istinti e quando è solo con Anora e quando viene più volte additato da lei come frocio.

Igor è un atipico principe buffonesco, porta a casa la principessa che ha perso la carrozza e, ciliegina sulla torta, le restituisce, rubandolo all’usurpatore, l’anello di diamante che le è stato tolto. Anora è sconfitta, non le rimane altro che tornare alla sua vita con qualche soldo in più e il rimorso di un’opportunità svanita. La commistioni tra arlecchinata e tragedia è il punto forte del film Una Pretty Woman che non ce l’ha fatta. Una tragedia colorata da pois comici…una screwball tragedy di illusioni, sesso, russi e soldi

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