Non si può dire, purtroppo, che Ari Folman sia un regista che non ha bisogno di presentazioni. Eppure si tratta di uno dei grandi del cinema contemporaneo e forse del più famoso tra i cineasti israeliani, noto per aver diretto Clara Hakedosha nel 1996, il meraviglioso Valzer con Bashir nel 2008 (ad oggi il suo più grande successo internazionale) e The Congress nel 2013. A distanza di otto anni da quest’ultimo, Folman torna in sala con Anna Frank e il diario segreto (qui il trailer) film distribuito da Lucky Red con il quale il regista pone l’obiettivo di raccontare la tragica storia che tutti conosciamo ma da una prospettiva decisamente inedita.
La protagonista del film non è Anna Frank ma Kitty, l’amica immaginaria alla quale Anna si rivolge quando scrive il suo diario. La struttura del racconto va avanti e indietro del tempo, alternandosi tra il passato, precisamente gli anni in cui la famiglia Frank si è nascosta ad Amsterdam, ed un non meglio specificato presente che ci viene indicato semplicemente come “A un anno da ora”.
Riguardando la filmografia di Folman il paragone più spontaneo che viene da fare è con Valzer con Bashir, anche questo un film che sceglie di trattare un fatto storico con la tecnica dell’animazione. Ma dove il film del 2008 partiva dall’esperienza personale del regista stesso che cercava di ricordare, per ricostruire, la sua esperienza nei conflitti che coinvolsero il Libano nei primi anni ottanta culminati nel massacro di Sabra e Shatila del 1982, Anna Frank e il diario segreto parte con una testimonianza già fissata e pubblicamente riconosciuta per muoversi alla volta della sua riscoperta e significato nel contemporaneo.
Durante il film Kitty si muove in una Amsterdam che non riconosce ma che, come le viene detto più volte, “È tutta Anna Frank”, con teatri, biblioteche, piazze, ponti, scuole e ospedali dedicati alla memoria della vittima della Shoah. La questione che appare chiara da subito è l’importanza che ha il dover periodicamente ricontestualizzare la testimonianza storica per le nuove generazioni – intenzione apertamente dichiarata da Ari Folman – onde evitare la perdita del senso che il passato ha avuto (a patto che si possa trovare un “senso” quando si parla di un evento come la Shoah).
Perché nella storia umana c’è sempre stato e sempre ci sarà il bisogno, o meglio, l’innata inclinazione a testimoniare, a fornire un resoconto che possa, magari anche solo in misura minima, rendere un’idea ai posteri di cosa le generazioni precedenti, indifferentemente dalla distanza temporale che ci separa da loro, abbiano passato. Ed è nostro dovere conservare tali testimonianze.
Al cinema dal 29 settembre.