Torna in sala Angeli perduti (trailer), il più curioso e peculiare film di Wong Kar-wai, composto da segmenti di sceneggiatura scartati da Hong Kong Express e considerato continuazione dello stesso da parte dell’autore. Angeli perduti è forse il film più oscuro del regista hongkonghese, ricco di ambienti gotici urbani e personaggi più legati alla notte che al giorno.
Sullo sfondo di una Hong Kong umida e buia si muovono gli angeli perduti di Wong Kar-wai in cerca di qualcosa di indefinito e di relazioni silenziose e tormentate. Al vertice dell’incomunicabilità che caratterizza i suoi film, il regista assegna a Kaneshiro Takeshi (già 223 di Hong Kong Express) un personaggio muto che avrebbe perso la voce dopo aver mangiato una scatola di ananas andato a male (connessione con l’ossessione della data di scadenza espressa in Hong Kong Express).
Il film comincia con il lancio di una moneta, la proverbiale doppia faccia di una medaglia da cui si dipanano due storie parallele con occasionali incroci. In una claustrofobica Hong Kong due coppie vivono i loro amori interiorizzati ma inespressi sfiorandosi senza mai collegarsi completamente. In perfetta specularità con la coppia di Hong Kong Express anche qui una donna (Michelle Reis) ordina la casa di un uomo senza che mai si incontrino, ma questa volta invece di un poliziotto convalescente da una delusione d’amore l’uomo è un killer a pagamento (Leon Lai), il perfetto rovescio della medaglia del poliziotto buono di quartiere interpretato nel film del 1994 da Tony Leung Chiu-wai.
La donna rovista nei rifiuti dell’uomo per capire le sue abitudini e il suo carattere, cerca nello sporco del suo amore le risposte alle sue fantasie senza osare mai un dialogo diretto o un contatto fisico. In questo film l’unico amore che si concretizza e sfocia in qualcosa di soddisfacente è quello del figlio muto con suo padre (Charlie Young), soggetto dei suoi video, seguito nelle abitudini quotidiane anticipando involontariamente il mondo dei social audiovisivi in cui viviamo oggi.
Il film, contrariamente ad Hong Kong Express si conclude senza contatto o possibilità di riconciliazione, si esplora la separazione, il lutto e la solitudine offrendo il lato buio del mondo emotivo di Wong Kar-wai dove tutto quello che può andare male ha fatto il suo inevitabile corso. Il film si concentra fortemente sulle relazioni umane e poco tratta di temi politici e sociali, eppure nelle pieghe del racconto si guarda una città alla deriva, dal destino segnato, impaurita dal futuro e già spaventata per l’isolamento che verrà. Se la Hong Kong del film non è specchio della condizione storica e sociale lo sono però le paure e le nevrosi dei cittadini che il regista decide di ritrarre assorbiti da un perpetuo chiaroscuro inacidito dai neon sporchi e dai riflessi delle luci dei negozi.
Nonostante la distanza dai temi sociali e politici, in fondo il personaggio muto è somatizzazione fisica dei silenzi interiori tradizionali dei film dell’autore, che a due anni dall’imminente scadenza della condizione di democrazia di Hong Kong (il 1° gennaio 1997) scopre che a consumare qualcosa dopo la sua scadenza si può perdere il diritto di parlare rivela il tormento e le paure più profonde del suo autore che, così come tutta la classe di artisti di Hong Kong nel 1995, era davanti al mutamento più grande della storia di quei territori.