I primi di gennaio si è conclusa la nona stagione di una serie che per molti versi ha segnato la seconda decade del XXI secolo: American Horror Story. Fin dalla prima stagione ha battuto il record di ascolti, confermandosi uno dei prodotti migliori disponibili. Ma non sempre ha mantenuto gli stessi standard.
Chi ha seguito la serie sa che ogni stagione può essere considerata come una storia a sé stante, anche se, in realtà, qualche collegamento esiste. Ideata nel 2011 da Ryan Murphy (Eat Pray Love) e Brad Falchuk (Pose), già noti per la serie Glee, e trasmessa sulla rete FX, riprende i temi dell’horror classico e li riadatta ambientandoli ogni volta in un periodo diverso. Ogni stagione ha un suo tema principale e una sua precisa atmosfera.
Dal momento che American Horror Story ha avuto una storia tanto lunga e complessa, merita uno sguardo più dettagliato di un semplice focus sull’ultima stagione. L’approccio migliore, perciò, è quello di definirne il percorso per ogni sua tappa.
La prima, fortunata stagione di American Horror Story (trailer) tratta come tema principale uno dei cliché più utilizzati nella storia del cinema horror: la casa stregata. Alla base della storia c’è l’idea che una morte violenta porti l’anima a non riuscire a staccarsi dalle questioni terrene, diventando l’impronta che generalmente chiamiamo fantasma. Solo che in American Horror Story nessun fantasma rimane etereo, ognuno è tangibile e carico di una rabbia vendicativa e distruttiva.
Diversi sono i sotto-temi rintracciabili. In effetti, la Casa ha acquistato il potere di trattenere le anime dei suoi defunti dopo la morte di Nora (Lily Rabe) e del Dr. Charles Montgomery (Matt Ross), un caso di omicidio-suicidio a colpo di pistola. Ma in precedenza i due erano stati i complici di numerosissimi aborti, macchiandosi così del gravissimo peccato di aver spento vite innocenti. Evento che in realtà potrebbe aver gettato una maledizione sugli abitanti della Casa, che da lì in poi sarebbero tutti morti in circostanze macabre.
Protagonisti della stagione sono gli Harmon, la famiglia composta dal Dr. Ben (Dylan McDermott), uno psichiatra, Vivien (Connie Britton) e Violet (Taissa Farmiga), poco più che adolescente. Per quanto tentino di apparire come una famiglia normale, non potrebbero essere più disfunzionali. Vivien è, infatti, reduce da un aborto spontaneo da cui non si è ancora ripresa. Inoltre, non riesce a perdonare Ben per averla tradita con una sua studentessa. Violet è la classica ragazza problematica, dall’anima dark ma talmente attenta da aver capito ancora prima dei genitori che le lacune tra loro sono incolmabili.
Vicini di casa sono Constance (Jessica Lange) e Adelaide Langdon (Jamie Brewer), una donna bellissima anche se non più giovane e la figlia, affetta da sindrome di Down. Loro sono le uniche a essere perfettamente a conoscenza del segreto della Casa e a non esserne minimamente spaventate. Anzi, mentre Adelaide gioca con i fantasmi, Constance riesce a sfruttarne alcuni per i suoi scopi. Un tempo era stata infatti proprietaria della villa e lì aveva ucciso la cameriera, Moira O’Hara (Frances Conroy), e il marito dopo aver scoperto la loro relazione, e aveva assistito alla morte di altri due dei suoi figli, Beauregard (nato deforme) e Tate (Evan Peters). Quest’ultimo è l’autore della strage che aveva coinvolto parecchi studenti e insegnanti della sua scuola, ed era stato ucciso dalle forze dell’ordine il giorno del suo arresto, in camera sua.
Gli intrecci sono molti e complessi. C’è il rapporto tra Constance e i figli, conflittuale, che apre diversi discorsi riguardo la maternità e la diversità (che sia sindrome di Down, deformità o pazzia, di sicuro è una madre che ha amato fino all’ultimo i suoi figli). La consapevolezza della morte, che pervade ogni episodio (alcuni dei fantasmi per molto tempo non si rendono conto di essere morti). Il senso di colpa che colpisce, in una forma o nell’altra, tutti i personaggi – da nominare il personaggio di Larry Harvey (Denis O’Hare), l’uomo che per amore di Constance aveva perso la sua famiglia -. E, naturalmente, la sessualità: in particolare, Vivien rimane incinta del marito e, inconsapevolmente, di Tate. Da qui, la componente esoterica: aspetta due gemelli, uno, del marito, destinato a soccombere all’altro, del fantasma, destinato a diventare l’Anticristo. Un ruolo di “jolly” è svolto dalla medium Billie Dean Howard (Sarah Paulson), che rivelerà la vera identità dell’altro gemello Harmon.
Il tema, però, che circoscrive la prima stagione di American Horror Story e fa da elemento comune tra tutti i protagonisti è l’infedeltà. Questa è il motivo che spinge gli Harmon a cambiare casa e ciò che ha portato Constance a perdere parte della sua vita. Il tradimento inconsapevole di Vivien è quello che porterà, in definitiva, alla rovina della famiglia Harmon. Il tradimento del marito di Constance con la giovane Moira è l’episodio che avvia il decadimento della famiglia Langdon, che culmina con la morte di Tate. La storia tra Larry e Constance non solo spinge la moglie di Larry a uccidere sé e le figlie, quanto porta Tate, che non approva, a dare fuoco a Larry nell’ufficio in cui lavora prima di andare a scuola a compiere la strage. Infine, l’infedeltà di Patrick (Teddy Sears), compagno di Chad (Zachary Quinto) ed ex-proprietario della Casa, è il motivo delle liti che fanno desistere i due dal progetto di adottare un bambino. Questo è un elemento importante, in quanto si ricollega al tema della maternità: innanzitutto si tratta di una coppia gay che vuole adottare un bambino, argomento controverso ancora oggi, tanto più nel 2011, anno di uscita della stagione; inoltre, esplora il desiderio di Nora di avere un figlio, più un’idea imposta dall’educazione e dalla società degli anni ’20 che un reale istinto.
Nel complesso, la stagione è girata in modo pulito, prediligendo riprese luminose e mantenendo la vivacità dei colori. Menzione speciale merita la colonna sonora: sottolinea in maniera efficace i vari climax delle puntate, con inserimenti di brani conosciuti affini all’atmosfera per quanto riguarda i ritmi, mentre si diverte ad entrarne in contrasto per quanto concerne i testi.
Per concludere, il finale è tanto aperto quanto all’apparenza conclusivo del ciclo della stagione. Elemento meritevole è il monologo di Jessica Lange, in cui ripercorre i momenti salienti della sua vita dal suo punto di vista e conferma il grande ruolo che la figura genitoriale (in special modo quella della madre) ricopre all’interno di tutto l’universo di American Horror Story. Questo long take, l’inquadratura del riflesso allo specchio dell’attrice che recita la sua storia, diventa un momento artistico quasi caratteristico della serie, almeno fino alla quarta stagione.