Asylum, la seconda stagione di American Horror Story (trailer), è forse quella più terrificante e, permettiamoci di dirlo, meglio riuscita di tutte. Ambientata nel 1964, prende temi simili alla prima stagione, ma contestualizzandoli perfettamente e aggiungendo un tocco vintage all’atmosfera sempre più cupa.
Un inizio al tempo presente con una coppia di sposini all’interno del manicomio criminale abbandonato di Briarcliff serve solo come introduzione al luogo che fa da teatro alle vicende della stagione. Il filo conduttore tra i due periodi è un serial killer di nome Bloody Face, attivo proprio negli anni ’60 ed emulato ancora nel 2012. Protagonisti, invece, sono: Kit Walker (Evan Peters), marito di una donna di colore, che viene internato nel manicomio con l’accusa di essere il noto serial killer dopo la morte della moglie; Lana Winters (Sarah Paulson), una giornalista che sogna il premio Pulitzer e tenta di guadagnarselo facendo un’inchiesta sui metodi brutali utilizzati a Briarcliff; suor Jude (Jessica Lange), la direttrice del manicomio, precedentemente Judy Martin, una ex-cantante dalla vita dissoluta che prende i voti dopo un tragico evento; Suor Mary Eunice (Lily Rabe), una ragazza timida e insicura che verrà posseduta da un demone durante un esorcismo; il dottor Arthur Arden (James Cromwell), precedentemente Hans Grupėr, un ex-nazista emigrato in America, che svolge esperimenti sui pazienti di Briarcliff ed è segretamente innamorato di suor Mary Eunice; il dottor Oliver Thredson (Zachary Quinto), lo psichiatra incaricato di effettuare la perizia su Kit Walker e decidere se condannarlo alla pena di morte o internarlo nella struttura.
Accanto a loro, che reggono la trama, ci sono altri personaggi importanti in Asylum, come Monsignor Timothy Howard (Joseph Fiennes), ambizioso e controverso, a capo di Briarcliff e desideroso di avere una fiorente carriera ecclesiastica, disposto a coprire gli orrori che compie il dottor Arden pur di ottenere lustro per sé e la sua gestione; oppure Grace Bertrand (Lizzie Brocheré), una delle detenute, che intraprende una relazione con Kit e rimane incinta. Ancora, c’è Shelley (Chloë Sevigny), ninfomane che subirà uno dei più sadici esperimenti da parte del dottor Arden, rimanendo mutilata e sfigurata; Pepper (Naomi Grossman), una donna affetta da microcefalia incolpata di aver annegato e deturpato il suo nipotino; Shachat (Fances Conroy), l’Angelo della Morte, che con un bacio porta con sé le anime di coloro che la invocano; infine, John Morgan (Dylan McDermott), il figlio di Bloody Face, determinato a ricalcare le orme del padre e ad uccidere la madre, che lo aveva abbandonato alla nascita. Talenti passeggeri acquistati da questa seconda stagione sono Ian McShane (Pirati dei Caraibi – Oltre i confini del Mare), che interpreta Leigh Emerson, un serial killer vestito da Babbo Natale che diventa uno degli antagonisti principali di suor Jude, e Adam Levine, che interpreta Leo Morrison, il ragazzo del 2012 a cui John Morgan taglia un braccio.
Quella fatta finora può sembrare solo una serie di nomi e interpreti, ma è proprio questo l’aspetto principale che caratterizza la serie di American Horror Story. Da una parte si può notare, infatti, come buona parte del cast sia già stato incontrato nella prima stagione, elemento più evidente, perciò, di continuità. Dall’altra, analizzando i ruoli ricoperti, si può cominciare a rintracciare una sorta di similitudine con la stagione precedente: il personaggio di Jessica Lange è una donna dal passato torbido e promiscuo, dalla tempra forte e ambiziosa, apparentemente senza scrupoli, ma che alla fine si affeziona agli altri personaggi e tenta di aiutarli. Evan Peters è il bel ragazzo di partenza buono, ma incattivito dagli eventi e dal contesto che vive. Lily Rabe è la pura di cuore, animata dalle migliori intenzioni, destinata a perdere la strada nel corso degli eventi, anche se non propriamente per sua volontà.
Ci sono altri personaggi visti anche in precedenza, anche se ancora non si riesce a delinearne bene il ruolo in comune. Ma American Horror Story è una serie complessa, carica di significati e di sfaccettature, per cui le prime due stagioni non sono affatto sufficienti per poter individuare un quadro generale. Ad esempio, Frances Conroy è prima il fantasma di una cameriera, poi l’Angelo della Morte: due ruoli solo superficialmente slegati, fatta eccezione per la Morte, che collega entrambi i personaggi. Sarah Paulson ha in Asylum un ruolo principale rispetto a Murder House, in cui è poco più che una comparsa, anche se già si può vedere quanto entrambe fossero figure ambiziose e determinate ad avere successo.
Come intuibile dal nome della stagione e dal suo luogo cardine, il tema permeante è la sanità mentale. L’ambientazione temporale, oltre a quella fisica, è un preludio anche al contenuto delle storie che andrà a raccontare: la maggior parte saranno sicuramente frutto di ingiustizie, in quanto negli anni ’60 i manicomi erano largamente utilizzati come luoghi in cui rinchiudere persone ritenute scomode, spesso per interessi personali o accusate falsamente di crimini probabilmente commessi dagli stessi denuncianti, dove neanche i veri pazienti erano trattati con cura e riguardo e venivano brutalizzati quasi giornalmente, sottoposti a pratiche come elettroshock o tecniche ancora più devastanti.
Proprio l’ingiustizia è un altro dei contenuti sviluppati in American Horror Story: Asylum. L’ingiustizia di un sistema che punisce un diverso orientamento sessuale, che non riconosce come pari le persone non bianche, che reclude e reprime la diversità in generale. La condanna di Kit Walker, ad esempio, è il frutto di una sfortunata circostanza: viene ritrovato il cadavere della moglie e viene accusato di omicidio lui, che non avrebbe retto, secondo la logica del tempo, alla tensione di dover vivere come un reietto data la natura della sua compagna. Dal momento che l’omicidio presenta molte assonanze con quelli commessi da Bloody Face, quale prova più schiacciante per dichiarare di averne scoperto l’identità (e porre fine ad indagini che finora non avevano condotto a nulla)? Altro esempio di ingiustizia è Lana Winters, che viene internata sfruttando la sua omosessualità: il vero motivo è impedirle di poter divulgare le scoperte fatte fino a quel momento, per cui diventa lecito minare la sua credibilità e nel frattempo minacciare la sua compagna, l’unica in grado di tirarla fuori da Briarcliff. E che dire, infine, di Pepper, una donna in grado nemmeno di formulare una frase di senso compiuto, ma, allo stesso tempo, un peso per la famiglia che doveva prendersene cura?
Si potrebbero nominare molte altre questioni discusse in American Horror Story: Asylum. Naturalmente, non si può sorvolare sulla fede: una suora timida e fragile che viene posseduta dal demonio, uomini e donne di Chiesa che tutto mostrano tranne pietà per i loro pazienti, un luogo retto da personalità ecclesiastiche in cui sembra che Dio non sia mai entrato (in effetti, ci abita il Diavolo). Suor Jude cerca redenzione nella Veste che indossa, ma non riuscirà a superare il suo passato senza affrontarlo. Monsignor Timothy Howard si ammanta di un’aura di santità laddove nasconde ambizione, bugie e brama di potere, ma non riuscirà ad avere scampo nemmeno lui. Persino il Natale diventa un momento antitetico, di orrore, tra le mura del manicomio.
Anche se in maniera molto accennata, un ulteriore discorso viene intrapreso su un qualcosa di anomalo per la serie: l’esistenza degli alieni. In effetti, Kit Walker è al centro dei loro studi, motivo per cui gli succedono cose improbabili e a cui non si riesce a dare spiegazioni logiche. Ma Ryan Murphy e Brad Falchuk, in questo caso, si sono guardati bene dall’approfondire l’argomento in maniera dettagliata.
Come si può capire, American Horror Story: Asylum è una delle stagioni più cupe della serie. Di conseguenza, l’illuminazione non può che essere scarsa e, nel complesso, le ambientazioni buie e angoscianti. A parte il fatto che la stragrande maggioranza delle riprese avviene in interni, perciò luoghi scarsamente illuminati di per sé, anche le poche riprese negli esterni si svolgono di notte e preferibilmente in momenti di pioggia. Il commento musicale non è ricco come quello di Murder House, ma una è la canzone che contraddistingue la stagione e viene ripetuta ossessivamente, sia per lo spettatore sia per gli sfortunati detenuti di Briarcliff: un riadattamento di Dominique, di Soeur Sourire. Degno di nota è l’episodio musical, un’occasione per spezzare la tensione e mettere in mostra i molteplici talenti degli interpreti.
Naturalmente, non manca il momento artistico del monologo di Jessica Lange, che racconta un episodio del passato di Judy Martin in un long take frontale. Ma non è l’unico momento di valore all’interno di Asylum: con la sua oscurità, con le molteplici storie e con un finale in un certo senso spiazzante si conferma decisamente la miglior stagione di tutto American Horror Story.