A distanza di quarant’anni dalla scomparsa di tuo padre, carissima Evelina, hai rilasciato un Ansa molto commosso: ritieni che il pubblico e la critica dei nostri tempi lo abbiano dimenticato. Perché avverti questo?
Per vari motivi. Intanto questo distacco papà lo aveva avvertito negli ultimi anni della sua vita, visto che le proposte di lavoro non erano quelle che si sarebbe immaginato. È vero che in quegli anni, siamo attorno al 1968, c’era un forte stimolo di contestazione giovanile, ma questo non ha impedito ad attori come Jean Gabin, suo coetaneo, di essere rivalutato. Ed eravamo in Francia, paese che ha vissuto più di tutti la lotta studentesca. Non amo per nulla generalizzare, ma in Italia c’è sempre stato questo vizio di buttar via tutto senza conservare il buono e magari trovare altro. Certo, negli anni che hanno seguito la sua morte si è parlato di lui, ma non quanto avrebbe meritato. Senza passato non siamo nulla! Il cinema italiano ha avuto tanti pilastri, e mio padre era uno di questi… Anche se il pubblico non lo aveva veramente dimenticato. Lo fermavano continuamente per strada e gli chiedevano “perché non la vediamo più sullo schermo?”. Quindi il problema è iniziato dall’industria e dai produttori, che non lo hanno più sfruttato decentemente.
Raccontiamo un po’ i suoi inizi di attore.
Sì, anche se ho scritto molto a riguardo, Amedeo Buffa in arte Nazzari (Edizioni Sabinae), Fratelli d’arte, insieme a Silvia Toso (Edizioni Sabinae), oppure Spesso sono arrivata seconda (Edizioni Ikonalìber). Prima del cinema ha lavorato dieci anni in teatro, una fantastica gavetta! Gualtiero Tumiati, Annibale Ninchi, Tatiana Pavlova, Marta Abba e molti altri. Ha conosciuto e lavorato con Pirandello. Ti racconto un aneddoto: una sera si ammala un attore della compagnia dello scrittore siciliano, e Pirandello convoca mio padre per sostituirlo. Allora papà rimane sveglio tutta la notte per imparare la parte stando con i piedi dentro l’acqua ghiacciata per non addormentarsi! La sera dopo, mentre recitava, Pirandello lo guardava dalla quinta… Finita la commedia lo scrittore lo raggiunge e, dandogli 500 lire, gli dice: “farai una grande carriera”
Infatti poco dopo è arrivato il cinema.
In seguito è stato chiamato da Elsa Merlini per girare il suo primo film Ginevra degli almieri (1935, ndr). Il risultato non gli piaceva molto, tant’è vero che tornò a Siracusa per riprendere la carriera sul palcoscenico. Da lì l’incontro con Anna Magnani, che suggerì al marito, Goffredo Alessandrini, di prenderlo per un film dal titolo Cavalleria. Papà era a Siracusa e ha invitato il regista alla visione del film che aveva girato poco prima. Ovviamente lo volevano in carne e ossa per il provino e non potendosi muovere dalla Sicilia si fece fare una foto dal fotografo di piazza, vestito da cavallerizzo su un cavallo staccato da una carrozza e disegnandosi i baffetti con la matita da trucco. Dopodiché per quel film gli propongono una certa cifra, se non che lui ha osato chiedere tre volte di più. Morale: se doveva abbandonare il teatro, luogo nel quale si trovava benissimo, doveva essere pagato profumatamente! E quindi da quel film è iniziata la sua carriera cinematografica
Ha fatto parte del cinema dei ‘telefoni bianchi’ come ovvio. Che ricordo aveva di quei film anteguerra?
Si, molte di quelle commedie ricordavano le atmosfere “ungheresi”. Mio padre concepiva a tutti gli effetti il cinema come un lavoro, quindi non ha fatto sempre le cose che amava. Anche se, devo dire, non ha mai reso nota una lista dei suoi film preferiti. Il Cinema (e anche il teatro), è come una grande bottega di artigianato, non sempre riesce ad essere arte. Lui, da vero artigiano quale è stato, ha sempre avuto un buon ricordo di tutte le avventure attoriali nelle quali si è calato
L’incontro con Yvonne Sanson come è avvenuto?
Sul set! Matarazzo li ha chiamati per Catene. Ma sostanzialmente era una partner come tante altre. Mio padre ha lavorato con tante attrici con le quali ha girato molti film. Alida Valli, ad esempio. Quello con Yvonne non è stato proprio un sodalizio costruito a tavolino
Ti ha mai parlato del suo metodo di lavoro?
Immaginava la vita del personaggio prima che cominciasse la storia. L’infanzia, i genitori, il suo vissuto. Stanislavskij, in un certo senso. Tutto quello che faceva parte del suo ruolo per immedesimarsi meglio con esso
Quali sono secondo te i suoi film più riusciti?
Sicuro non quelli del filone strappalacrime diretto da Matarazzo. Ma ovviamente è un mio giudizio personale… Era l’epoca che chiedeva questo genere di film, le platee avevano bisogno di piangere, dal momento che avevano patito sulla loro pelle i traumi della guerra, quindi andavano al cinema per vedere altra gente soffrire (ride). Secondo me papà ha dato il meglio di sé in certe commedie all’italiana. Mi piace citare sempre Il gaucho e Frenesia dell’estate, dove lui è molto autoironico… Nel dopoguerra sono assolutamente da ricordare Un giorno nella vita di Blasetti, Il bandito di Lattuada e Processo alla città di Zampa. Molto coinvolgente anche Il brigante Musolino di Camerini. Giusto per dire che ne ha fatti parecchi che esulano dal filone nazionalpopolare, tutti molto validi dove ha dimostrato enormemente le sue qualità recitative
Poi sul finire degli anni ’50 il declino.
Esatto. Ma è dipeso anche da lui. Mio padre non amava molto gli ambienti mondani, non curava le pubbliche relazioni, e quindi ha cominciato a restare fuori dal giro. Nel mondo dello spettacolo curare questi aspetti è quasi più importante dell’essenza artistica stessa. Poi in quel periodo gli hanno proposto copioni stupidi o di infimo livello che puntualmente ha rifiutato, e anche per questo la sua presenza nel cinema italiano è molto calata.
Quali film ha rifiutato per la precisione?
Molti non li ricordo, però cito un episodio: era andato in Argentina, e aveva un contratto con dei produttori che volevano fargli fare un film dove si parlava male degli italiani, e giustamente non ha accettato. Ma sarebbe giusto citare anche le occasioni mancate: avrebbe potuto benissimo interpretare Il Gattopardo di Visconti. Sarebbe stato perfetto nel ruolo dello Zione, ma Lancaster, ovviamente, aveva un respiro più internazionale. Questa opportunità sfiorata fu motivo di grande dispiacere. Non sarebbe stato tanto male neanche per Il deserto dei Tartari di Zurlini.
Però negli anni ’60 e ’70 ha fatto molti film di qualità, come ‘Il clan dei siciliani’ e ‘Joe Valachi: i segreti di Cosa Nostra’.
Si, li ricordo bene. Anche se questi erano più che altro camei.
Ha mai pensato di lavorare in pianta stabile in Francia? Forse in alcuni film della Nouvelle Vague sarebbe stato perfetto. Avrebbe potuto benissimo interpretare i ruoli del padre dei giovani ribelli contestatori di quei film di Truffaut, Malle, Godard, Chabrol…
Forse hai ragione. In realtà no, non ha mai pensato di trasferirsi lì. Purtroppo era già il periodo di crisi in Italia, e non so se anche da quelle parti ci siano state occasioni mancate.
L’ultimo film è del 1978, si chiama ‘Melodrammore’ ed è stato diretto da Maurizio Costanzo.
Quando ha girato quel film non stava bene, aveva avuto un ictus. Io ero molto giovane, stavo spesso in giro. Era una proposta di Costanzo, che ha accettato quasi grazie alle insistenze di mia madre, che riteneva, giustamente, che lavorare gli facesse bene. Però non era già più lui in quest’ultimo film, è una cosa che non considero quasi. Ricordo la scena in cui dialoga con Montesano, ma al di là di questo non penso ci sia molto da dire. È venuto a mancare poco tempo dopo.
Secondo te quali sforzi bisognerebbe fare per far sì che tuo padre venga ricordato a sufficienza?
Un bel restauro dei suoi film migliori, come fanno per certi autori o personaggi nei giorni nostri. E qualche retrospettiva, nei cinema d’essai o in televisione. Ultimamente ho avuto una bella soddisfazione, al Cineclub Alphaville del Pigneto è stato proiettato Il bandito, in una copia di ottima qualità e la sala piena. Dovrebbero capitare più spesso occasioni simili!