Gli anni ’70 in America furono caratterizzati da diversi tumulti, incertezze, complotti, sconfitte e malesseri. Ed è proprio in questo clima che il 25 Maggio 1979 esce nelle sale americane Alien, film destinato a rivoluzionare lo scenario fantascientifico mescolandolo all’horror, diventando così un grande cult del cinema mondiale. Prima di addentrarci nel film e ripercorrerne gli aspetti produttivi, è giusto fare una panoramica del contesto storico intorno ad Alien, per capire meglio come si è arrivati a concepire tale capolavoro.
Alien arriva al cinema in un periodo davvero di sofferenza per l’America. Da un lato la potente nazione viene fuori sconfitta e traumatizzata dalla Guerra del Vietnam, mentre dall’altro è ancora nel mezzo della Guerra Fredda. La Guerra del Vietnam segna una profonda cicatrice per gli USA, prima sconfitta in guerra subita dagli americani e che mostra alla nazione puritana un segnale di non predestinazione forte il quale non fa altro che portare alla mente precedenti traumi come, ad esempio, la crisi degli anni ’30. “Il ritorno del rimosso” trova molto spazio nella cinematografia americana del dopo Vietnam in diversi film e con diverse sembianze (fantasmi, demoni, mostri). In Alien questo ritorna sotto forma di una creatura aliena che si infiltra nei posti più bui della nave madre, a rappresentare quel Male che si nasconde nell’inconscio proprio all’interno della mente umana, in agguato e pronto ad attaccare, fonte di psicopatia e complottismo.
Tra la fine degli anni ’50 e per buona parte degli anni ’60, in piena Guerra Fredda, l’URSS vince “la corsa allo spazio” riuscendo a inviare il primo satellite nello spazio, lo Sputnik, e successivamente il primo astronauta. Davanti a ciò gli Stati Uniti si sono ritrovati indifesi: il nemico ora orbitava proprio sopra di essi. Per citare il libro Spazi (S)confinati: «Ed è allora che la fantascienza trasforma il comunista in un alieno che può dichiarare palesemente guerra agli Stati Uniti; può in maniera più subdola provare a colonizzarli di nascosto impadronendosi di corpi e menti di cittadini» (Tarzia, Ilardi 2015, p. 352). Questo immaginario rispecchia proprio in pieno la figura dell’alien che si aggira all’interno della buia navicella Nostromo, passando proprio sopra le teste dei membri dell’equipaggio.
“La corsa allo spazio” ha quindi l’esigenza di arrivare anche sul grande schermo, portando alla nascita di grandi capolavori come 2001: Odissea nello spazio del 1968 di Stanley Kubrick o ancora il più famoso commercialmente Star Wars del 1977 di George Lucas. Ed è proprio da quest’ultimo film che la 20th Century Fox sente il bisogno di replicare il successo e le lunghe code al botteghino (non a caso Alien debutta al cinema il 25 maggio, stesso giorno di debutto del film di Lucas uscito due anni prima). La fantascienza è il genere del momento ed è proprio in questo periodo che un giovane sceneggiatore, Dan O’Bannon, sta lavorando ad una sceneggiatura particolare.
O’Bannon aveva già scritto una sceneggiatura fantascientifica, Dark Star, la quale divenne subito dopo un film girato dall’amico John Carpenter, ma non fu nulla di esaltante. La vera idea di O’Bannon, invece, era quella di scrivere una sceneggiatura sempre nel campo sci-fi, caratterizzata però da forti tinte horror. Le visioni orrorifiche di O’Bannon trovarono un compagno importante per lo sviluppo della sceneggiatura, Ronald Shusett; i due insieme si misero a scrivere con assiduità e arrivarono a concepire Alien (inizialmente intitolato Star Beast), anche se in realtà alla versione cinematografica, che conosciamo noi, ci arrivarono solo dopo otto riscritture della sceneggiatura e relative lotte produttive. E per costruire un immaginario così orrorifico non potevano non prendere ispirazione da uno dei più grandi scrittori horror della storia americana, colui che narrava già di bad places nei primi anni del 1900, cioè Howard Phillips Lovecraft e infatti Alien trae nutrimento dai suoi scritti come Il colore venuto dallo spazio o La città senza nome.
Ovviamente non mancano le ispirazioni derivate da film precedenti, con lo stesso O’Bannon che affermò di non aver copiato Alien da nessuno in particolare, ma al massimo di aver rubato un po’ da tutti con i riferimenti più espliciti che sono La cosa da un altro mondo (1951) di Christian Nyby e Howard Hawks, Il pianeta proibito (1956) di Fred M. Wilcox e Terrore nello spazio (1965) del fenomenale Mario Bava.
Il film prima di essere realizzato ha dovuto lottare molto con la produzione. I produttori della Fox, David Giler e Walter Hill, non erano molto convinti del lavoro di O’Bannon e Shusett e infatti concessero solo un budget di 4 milioni per realizzare il film come se fosse un b-movie. Fu l’arrivo dell’emergente Ridley Scott a cambiare le carte in tavola. Scott aveva appena vinto, poco prima nel 1977, il premio come Miglior Opera Prima a Cannes per il film I duellanti (e successivamente anche il David di Donatello come Miglior regista straniero). La produzione riuscì a contattarlo e gli fece leggere la sceneggiatura di Alien, forte dal fatto che dopo la visione di Star Wars Scott era determinato a voler cimentarsi nella fantascienza, abbandonando la sua idea iniziale di voler realizzare un film su Tristano e Isotta.
L’arrivo di Ridley Scott portò il budget iniziale a raddoppiare, arrivato a 11 milioni. L’idea era ormai quella di produrre un grande film. Scott si mostrò fondamentale nella produzione perché ebbe moltissime idee che portarono allo sviluppo del film: iniziò a disegnare le storyboard, poi fece costruire tre modelli di astronave in crescendo per le relative riprese, partendo da una di 30 cm per i campi medi e lunghi, passando a una versione quattro volte maggiore per le inquadrature sui reattori, fino ad arrivare a un modello di 7 tonnellate per le riprese della nave nel momento in cui si stacca dalla raffineria. Per la costruzione dell’astronave furono utilizzati pezzi metallici risalenti a vecchi bombardieri di guerra, poi per enfatizzare le riprese all’interno del relitto alieno, Scott ebbe la geniale idea di mettere sul set dei bambini, tra cui i suoi figli, facendogli indossare la tuta da astronauta, in modo da far sembrare, in campo lungo, l’ambiente circostante molto più grande rispetto ai personaggi.
Per quanto riguarda i corridoi interni alla Nostromo, Scott li fece costruire appositamente stretti e poco luminosi per aumentare la pesantezza del soffitto e l’effetto claustrofobico, sui quali utilizzò poi degli specchi come effetto ottico per estenderne la profondità. Se la produzione voleva realizzare un film che fosse “il lato oscuro” di Star Wars, l’idea di Scott era quella di realizzare il Non aprite quella porta in versione spaziale e per questo motivo optò per degli spazi bui, angoscianti, sporchi e claustrofobici, al contrario degli spazi puliti e ordinati che possiamo notare in 2001: Odissea nello spazio. Ridley Scott si mostrò fondamentale anche per le sue forti capacità persuasive, sia nei confronti della produzione che nei confronti degli attori: ad esempio Harry Dean Stanton e Sigourney Weaver affermarono più volte di non amare per nulla quel genere, ma con le sue parole Scott riuscì a persuadere gli attori a entrare nel cast lo stesso.
Dopo la scelta del regista quello che ancora mancava era il mostro in sé, fu così che O’Bannon ricorse a una sua vecchia amicizia risalente al suo periodo europeo, chiamando il visionario artista svizzero Hans Ruedi Giger, famoso per la realizzazione di disegni macabri e orrorifici. Giger dichiarava spesso che i suoi disegni derivavano da incubi dovuti a una patologia particolare di disturbo del sonno; infatti Alien è proprio questo, un incubo. Il disegno per l’alien fu preso da una raccolta di Giger intitolata Necronom IV, chiaro riferimento al libro Necronomicon pensato, ma mai realmente scritto, dal già citato Lovecraft. Il tutto sembrava combaciare sempre di più: gli incubi, Lovecraft, il libro dei morti, tutti elementi che portarono alla creazione di Alien.
Il costume dello xenomorfo (termine coniato da James Cameron) fu creato attraverso l’utilizzo di ossa di origine animale, soprattutto per la gabbia toracica, mentre per la testa Giger ordinò dall’India dei teschi umani che unì insieme, tagliando la mandibola per allungarla di alcuni centimetri. Utilizzò poi dei profilattici, specificatamente non lubrificati, per creare i tendini facciali dell’alieno. Tutti questi elementi crearono strane leggende sul set intorno alla figura di Giger, come il fatto che conservasse a casa sua le spoglie della fidanzata morta suicida; la produzione voleva farlo fuori a causa delle sue stranezze, ma fu proprio Scott a insistere perché restasse.
I movimenti del mostro erano molto difficili da realizzare e per l’occasione fu chiamato l’uomo delle stelle, soprannome del mitico Carlo Rambaldi, ormai famoso a Hollywood per gli effetti visivi in King Kong (che gli valse l’Oscar) e per gli alieni presenti in Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo. Rambaldi creò un particolare carrellino posto su un binario all’interno della testa dell’alien per il movimento entra-esci dell’iconica lingua dentata. Inoltre creò particolari sistemi elettronici per il movimento della coda dello xenomorfo. Non c’è da meravigliarsi se il suo fondamentale contributo e la sua genialità gli valsero il suo secondo Oscar per i Migliori effetti speciali nel 1980, insieme ai colleghi H.R. Giger, Brian Johnson, Nick Allder e Denys Ayling.
Fatto il costume con i relativi meccanismi, mancava l’attore da mettere dentro. Una sera, in un bar di Londra, il direttore del casting Peter Archer vide per caso un ragazzo longilineo e molto magro e non esitò a chiedergli se volesse entrare nel cast di un importante film. Il ragazzo, alto 2,08 metri, accettò subito. Il suo nome era Bolaji Badejo, purtroppo prematuramente scomparso, che oltre ad Alien non ebbe più altri ruoli nel cinema. Si dice che sul set Badejo vivesse una situazione frustante sia a causa del pesante e scomodo costume, sia perché gli fu imposto di avere pochissimo contatto col resto della troupe perché doveva sempre mantenere quella connotazione di alien spaventoso e quindi, secondo Scott, la socializzazione col resto del gruppo avrebbe tolto la sensazione realistica di terrore che dovevano provare gli attori in scena.
Per quanto riguarda la protagonista assoluta del film, in quel periodo storico non poteva che essere una donna. Il forte femminismo, definito di seconda ondata, emerso tra gli anni ’60 e ’70 portò a una rivalutazione della figura femminile: nel 1972 fu approvato l’Equal Rights Amendment che garantiva diritti a tutti i cittadini senza distinzione di sesso; nel 1974 fu promulgata la legge sull’equità educativa femminile; nel 1978 la legge sulla discriminazione della gravidanza. Tutti cambiamenti importanti che non potevano non riflettersi anche sul cinema. Oltre i movimenti femministi, l’altro elemento che portò alla scelta definitiva di una donna come protagonista di Alien fu il successo della figura caratterizzata dalla Principessa Leia, sempre nel già citato Star Wars. La potenza commerciale avuta con Carrie Fisher fu la definitiva garanzia per la creazione di Ellen Ripley, il secondo ufficiale che tramite le sue azioni eroiche diventa un’icona unica nell’immaginario collettivo di molte generazioni.
Ripley riesce, attraverso il suo viaggio dell’eroina, come direbbe Maureen Murdock, a incarnare l’eroina perfetta americana, colei che si innalza anche al di sopra del proprio governo e si fa carico del peso della società andando poi a scontrarsi contro il Male, annientandolo. Mai scelta fu più azzeccata, perché come sappiamo la figura di Ellen Ripley interpretata dalla meravigliosa Sigourney Weaver, ha portato alla nascita di un vero fandom intorno, soprattutto con l’estensione della saga. Si è arrivati addirittura alla creazione di fumetti incentrati sulla sua figura come in Italia Legs Weaver, serie di fumetti prodotta tra il 1994 e il 2005 da Sergio Bonelli Editore, con Weaver/Ripley figura ispiratrice. Inoltre, in seguito ad Aliens – Scontro finale, Sigourney Weaver fu candidata agli Oscar come miglior attrice protagonista nel 1987, ed era la prima volta nella storia del cinema che una donna veniva candidata come protagonista in un film d’azione.
Quel 25 Maggio del ’79 non fu organizzata una prima ufficiale per il film, proiettato in differenti sale, ma la reazione del pubblico in America fu pressocché la stessa: diverse testimonianze riportano di gente che urlava, gente che scappava, persone che vomitavano. Tutto ciò per Scott era positivo, soddisfatto del realismo che era riuscito a creare.
La critica inizialmente non comprese bene il film. Ad esempio Roger Ebert, famosissimo critico americano, lo definì un filmetto thriller ambientato in un’astronave. In realtà anni dopo rivalutò la sua posizione ponendo Alien come uno dei film più innovativi e importanti di sempre. La stessa scena del chestbuster (cioè la nascita dell’alien dal torace umano) divenne successivamente un momento iconico nella storia del cinema mondiale. Scott stesso confessò che, dopo l’uscita del film, fu chiamato al telefono da Kubrick il quale gli chiese come aveva realizzato quella sequenza che trovava perfetta e nella quale non riusciva a individuare il taglio di montaggio. Anche il facehugger incollato al viso di John Hurt divenne un’immagine iconica: il solo frame è capace di rievocare le sensazioni perturbanti provate durante la visione del film. Per non parlare poi del sangue acido dell’alien che rende il mostro l’essere perfetto e allo stesso tempo ineluttabile.
Indubbiamente il film, con un incasso di 103 milioni di dollari nel suo anno di uscita, divenne un successo mondiale partendo già dalla tagline In space no one can hear you scream che enfatizza la paura e la solitudine dello spazio in cui il suono non si propaga, fino ad arrivare alla genialità di Scott nella direzione che, attraverso le sue inquadrature strette sull’alien, unite all’uso del fumo per l’effetto vedo-non vedo, riuscì a creare quella tensione e quella paura le quali contribuirono all’epicità della pellicola (anche se in realtà l’uso di queste riprese e gli altri effetti servivano a nascondere i difetti del costume e la difficoltà nei movimenti).
Attenzioniamo anche la meravigliosa sceneggiatura che non pone soltanto l’alien come unico nemico, ma inserisce un secondo antagonista, forse più subdolo dello xenomorfo, cioè Ash l’androide di bordo interpretato da Ian Holm. La Compagnia Weyland e il suo emissario Ash si rivelano essere come un secondo antagonista all’interno del film; essi rappresentano quel Male interno alla società americana inteso come il complottismo figlio degli anni ’60, della paura per il comunismo e dello “Scandalo Watergate” del ‘72. Non è un caso che il personaggio controverso di Ash, nell’America di quel periodo, faccia da precursore ai ‘replicanti’ presenti in Blade Runner qualche anno dopo, non per coincidenza diretto sempre dal maestro Ridley Scott, anch’egli ossessionato dall’evoluzione della tecnologia e la relativa perdita di controllo di quest’ultima.
Un’America che negli anni ’70 si trova tormentata da varie crisi non poteva che riversare le sue paure e paranoie all’interno di Alien, il cui successo mondiale riecheggia ancora oggi attraverso la nascita di un vero e proprio franchise portato avanti da nomi come James Cameron in Aliens – Scontro finale (1986), David Fincher per Alien³ (1992), Jean-Pierre Jeunet con Alien – La clonazione (1997) passando per crossover (Alien vs. Predator 1 e 2 – 2004, 2007), fino ad arrivare all’attuale trilogia prequel col ritorno alla regia di Ridley Scott con Prometheus (2012) e Alien: Covenant (2017). Siamo in attesa già da qualche anno del capitolo prequel conclusivo, anche se probabilmente è un po’ come aspettare Godot, perché la produzione del film era stata inizialmente congelata, ma l’anno scorso voci a riguardo da parte di Scott stesso hanno lasciato intendere che stanno ancora dibattendo sull’effettiva realizzazione, avvolgendo il tutto ancor di più nel mistero.
In ogni caso noi amanti del cinema abbiamo già avuto il nostro capolavoro quel lontano 25 Maggio del 1979, quindi non abbiamo altro da aggiungere oggi se non buon compleanno Alien! E anche se nello spazio sicuramente nessuno può sentirci urlare, noi spettatori le urla di terrore dei protagonisti del film le abbiamo ben sentite e le abbiamo amate, quindi grazie Dan O’Bannon, grazie H. R. Giger e soprattutto grazie di cuore Ridley Scott!
BIBLIOGRAFIA:
Battaglia B., Alien. Nascita di un nuovo immaginario, Armillaria, Roma 2019.
Cocci S., Alien. Misteri, inquietudini e segreti del film cult di Ridley Scott, Ultra Edizioni, Roma 2019.
Immerwahr D., L’impero nascosto. Breve storia dei Grandi Stati Uniti d’America, Einaudi, Torino 2020.
Tarzia F., Ilardi E., Spazi (S)confinati. Puritanesimo e Frontiera nell’immaginario americano, La talpa – Manifestolibri, Castel San Pietro Romano (RM) 2015.