Raccontare la trama di film come Ali e Ava (qui il trailer) è molto semplice. Esprimere ciò che ti lascia dopo la sua visione, invece, non lo è. Quello che in apparenza sembrerebbe essere il racconto di una scontata storia d’amore tra due persone molto diverse, cela nel profondo una riflessione sulla complessità interiore dell’essere umano, impossibile da spiegare razionalmente.
Ali (Adeel Akhtar) e Ava (Claire Rushbrook) non sono due eroi, non superano prove che appaiono impossibili, non sconfiggono nemici spietati o senza cuore. Ali e Ava sono come noi, imperfetti sia dentro che fuori. Come noi vanno a lavoro, discutono con i familiari, hanno i loro hobby. Come noi sognano una vita migliore, sognano di tornare ad amare e di essere felici. I loro conflitti sono interiori, sono le ferite del passato, quelle che guariscono ma lasciano la cicatrice.
Il film di Clio Barnard proietta i meccanismi di identificazione spettatoriale ad un livello raramente sperimentato, mantenendoci incollati allo schermo nonostante la semplicità della storia e il ritmo quasi sempre monotono. Le magistrali interpretazioni di Claire Rushbrook e Adeel Akhtar ci ricordano che la felicità sta in una semplicità che non è facile raggiungere. Una semplicità caratteriale, quella purezza infantile che richiama lontanamente lo Chance Giardiniere di Peter Sellers in Oltre il Giardino (Ashby, 1979). Una semplicità nei desideri, dove trovare qualcuno da amare (e che ci ami a sua volta) conta più di tutto e tutti.
La storia di Ali e Ava ci insegna a vivere. Ci insegna a gestire i nostri demoni, a superare gli ostacoli imposti da una società sempre più votata al pregiudizio, ci fa capire l’importanza dell’altro. Ma c’è di più. Il film di Barnard tocca vette altissime dal punto di vista delle emozioni suscitate, trasportandoci in un turbine che continua a muoversi dentro di noi anche dopo essere usciti dalla sala. Nonostante alcune delle situazioni narrative siano ripetitive, il film è in grado di farci provare forti emozioni all’improvviso, “da zero a cento”, per citare una frase che ricorre nella pellicola.
A rendere l’esperienza ancora più godibile, contribuiscono una colonna sonora travolgente quanto azzeccata e una regia semplice, che non forza mai la mano con soluzioni stilistiche autoriali, permettendoci una piena focalizzazione sulla quotidianità dei due protagonisti. La musica, in particolare, è un elemento ricorrente e fondamentale. È un vero e proprio rifugio, soprattutto per Ali, permettendo di lasciar fuori quei problemi della vita che sembrano essere irrisolvibili. Perché immedesimarsi nei due protagonisti ci insegna che la vita sa essere crudele, spietata. Ed è facile perderne il controllo.
Ali e Ava non è un film di facile presa, è una bellezza che va saputa guardare e che va saputa comprendere. Non ci troviamo di fronte ad un papabile campione di incassi al botteghino, ma si tratta di un’opera che probabilmente potrà dire la sua nella stagione dei premi. L’arduo obiettivo di lasciare un insegnamento e stimolare una riflessione nello spettatore viene abilmente superato. Pellicole del genere, se si comprendono a pieno, diventano parte di noi.
In sala dal 14 Aprile.