Il 2019 che ci siamo lasciati alle spalle è stato fondamentale per il cinema di fantascienza: diversi film appartenenti a questo genere hanno infatti visto la scelta di questo anno per la loro ambientazione, dal più noto Blade Runner (1982) ad Akira (1988), film d’animazione di Katsuhiro Ōtomo (attualmente disponibile su Netflix e Prime), tratto dal suo omonimo manga. Il cyberpunk, che negli anni Ottanta ha conosciuto l’affermazione tra il grande pubblico, ha configurato in esso panorami e modi di pensare il futuro. Ma ora che questo futuro è cronologicamente giunto, ci si può spingere verso una comparazione di quello che autori di questo filone hanno immaginato e proiettato nel tempo che ora stiamo vivendo. Akira, direttamente dal decennio del cyberpunk, irrompe nel nostro presente in modi inaspettati.
La storia ha luogo in una società post-apocalittica a Neo-Tokyo, megalopoli costruita sulle ceneri della vecchia Tokyo, distrutta durante una Terza guerra mondiale. Da una parte la città è animata da scontri tra bande di motociclisti rivali, e una di queste è quella di Shōtarō Kaneda, composta da giovanissimi ragazzi senza alcun riferimento e immersi nella vita sregolata dei bassifondi; dall’altra è attraversata da tumulti rivoluzionari sempre più frequenti contro il governo debole e impopolare, il quale ha deviato le risorse e gli interessi della ricostruzione verso il cosiddetto progetto “Akira”, il cui segreto è nascosto all’interno dello stadio in costruzione in vista delle Olimpiadi del 2020.
E qui avviene lo snodo su cui soffermarsi, che obbliga a un confronto con la realtà: in tutta la storia delle Olimpiadi moderne, solo tre volte si sono verificate condizioni eccezionali che hanno costretto il CIO (Comitato Olimpico Internazionale) a non far disputare l’evento sportivo più importante del mondo nell’anno previsto: queste sono Berlino 1916, Tokyo (poi Helsinki) 1940 e Londra 1944, per ovvi motivi storici. La decisione dello svolgimento dei Giochi olimpici 2020 nella capitale giapponese è stata decretata solo nel 2013, e recentemente è stato confermato dalle autorità competenti il rinvio dell’edizione di Tokyo 2020 al prossimo anno, per la prima volta a causa di un’emergenza epidemiologica mondiale.
Sia il Giappone militarista del 1940, sia quello del miracolo economico del 1964 (quando i Giochi si disputarono per la prima volta a Tokyo), videro nelle Olimpiadi un’occasione per consolidare i rapporti con l’Occidente, ma non si può ad ogni modo sottovalutare l’incidenza di interessi finanziari dietro la loro organizzazione, che pure nel 2020 hanno opposto resistenza prima di accettare la decisione del CIO. L’intreccio con il mondo narrato da Ōtomo in Akira si fa più fitto: non solo è riuscito curiosamente a indovinare con così tanti anni di anticipo la sede e la data dell’evento, ma è possibile notare un altro particolare se si osserva un’inquadratura nel primo atto del film, dove un cartellone pubblicitario mostra i giorni mancanti (147) al grande evento olimpico. In basso a destra, sulla parete, tra le scritte con la vernice se ne legge una: “中止だ中止”, che in italiano significa “fermatelo”, “smettete”.
Lo stadio olimpico assume in Akira un ruolo drammaturgico ricorrente: oltre a essere una forza centripeta degli avvenimenti del film, è anche segno della prosperità economica con cui un paese si vuole mostrare al mondo; contemporaneamente esso è simbolo del potere e della corruzione, verso cui si scagliano gruppi anti-governativi, che vedono nelle Olimpiadi di Neo-Tokyo – queste destinate a non avere alcun futuro – una svendita del bene comune per interessi di pochi, la copertura di qualcosa di molto più grande. La rete di affinità che si è venuta a creare tra Akira e gli sviluppi recenti del nostro tempo invita a chiedersi quanto ci sia del Giappone reale vissuto da Ōtomo dagli anni Sessanta in poi nella sua opera. A partire dalla riproposizione di Olimpiadi come apice di una ricostruzione in seguito a un disastro bellico, si può inoltre valutare quanta critica venga mossa verso la politica giapponese e la sua idea di progresso.
Attraverso l’arco di trasformazione e martirio del personaggio di Tetsuo Shima, il film solleva questioni di coscienza politica, umanità perduta e bioetica, in mezzo a un turbine generato dagli alti ritmi a cui sfrecciano gli eventi, dalla resa grafica virtuosistica e dallo sperimentalismo musicale del compositore e neuroscienziato Shōji Yamashiro. Le tematiche sociali poste in chiave escatologica in Akira (qui il trailer) tendono verso un sogno sopito di rinascita a cui l’umanità dovrà necessariamente tendere la mano. Il tutto all’interno di un’accurata e visionaria elaborazione di un mondo che in un modo o nell’altro – come si è visto – possiamo sentire vicino, segno del forte respiro internazionale di cui Akira ha dato prova sin dalla sua uscita.