Se c’è un nome che qualsiasi studente di cinema ha incontrato nel corso della propria carriera accademica è sicuramente quello di David Bordwell. Studioso, critico cinematografico ed ex professore della Wisconsin-Madison University, Bordwell è stato una figura chiave nell’ambito dei Film Studies. Attraverso i suoi libri e articoli sul cinema – alcuni scritti anche in compagnia della moglie e collega Kristin Thompson – ha contribuito ad ampliare i discorsi sull’analisi cinematografica, oltre che a coinvolgere e introdurre sempre più appassionati alla storia e al linguaggio della materia. È proprio per questo che la notizia della sua scomparsa, avvenuta lo scorso 29 febbraio a seguito di una lunga malattia, ha lasciato un grandissimo vuoto, riecheggiando insieme ad omaggi, ricordi e articoli condivisi da diverse generazioni cinefile che hanno avuto a che fare con il suo lavoro.
Il titolo a cui tutti probabilmente penseremmo se dovessimo nominare uno dei suoi libri non può essere che Storia del Cinema – Un’introduzione (edito da McGraw Hill). Uno dei manuali di maggior successo che continua a passare di mano in mano tra studenti e professori nelle classi universitarie. Questo incredibile testo è stato stampato ininterrottamente dal 1979 e tradotto in moltissime lingue, arrivando oggi alla tredicesima edizione (in italiano la più recente è la sesta). Significativo a tal proposito è l’impatto che esso continua ad avere negli appassionati, accomunati anche semplicemente dal ricordo della copertina della propria edizione. Il segreto del successo di questo libro, scritto insieme a Kristine Thompson, risiede nel fatto che si avvicina con semplicità e sistematicità alla storia del cinema, ripercorrendo in modo diacronico gli anni dei maggiori cambiamenti, offrendo diverse prospettive sulle industrie di tutto il mondo e introducendo un primo sguardo sulle tecniche più comuni usate nella realizzazione dei film. Questo perché sia Bordwell che Thompson, oltre che critici, sono soprattutto storici e, in quanto tali, sono interessati all’evoluzione del linguaggio delle immagini al di là delle tecnologie legate ai modi di produzione. Come recita il titolo, per quanto questo manuale sia solo un’introduzione, non si può non riconoscergli il merito di aver contribuito ad ampliare e fissare le conoscenze iniziali di chi si trovava a sfogliarlo per la prima volta, in particolar modo attraverso un continuo dialogo tra la teoria del cinema e gli esempi di grandi titoli, più o meno conosciuti, citati in ogni pagina.
Ma chi era effettivamente David Bordwell? E perché è stato così significativo negli studi sul cinema? Senza addentrarci troppo nella sua vita, ci limiteremo a dare una forma più concreta a quello che per molti studenti è stato solo un nome stampato su carta, senza un volto o una voce, mai veramente approfondito, ma invece estremamente importante.
Come detto in precedenza, Bordwell è stato innanzitutto un professore universitario, ma è solo a seguito del suo pensionamento, dopo circa trenta anni di attività, che ha iniziato a dedicarsi con ancora più passione e produttività allo studio dei film e alla scrittura di libri (di cui, nel complesso della sua carriera, se ne possono annoverare più di una ventina). Iniziò ad approcciare le pellicole attraverso l’analisi con la moviola, analizzando i dettagli visivi come i movimenti di macchina o i raccordi tra le inquadrature, per arrivare a capire il corretto funzionamento delle storie. Come ha spiegato egli stesso, «il mio lavoro non si occupa principalmente di scoprire quali sono i migliori e i peggiori film, ma di capire il flusso della storia del cinema. Perché questo film è così com’è? Cosa ha creato questa tendenza? Perché, in questo contesto, vengono realizzati certi film?». Dag Sødtholt, critico cinematografico norvegese, lo ricorda come uno degli studiosi di cinema più rispettati al mondo, noto in particolare per la sua precisione, il suo rigore e serietà. Allo stesso tempo, però, va riconosciuto anche un altro lato: era un fervente amante del cinema, animato da un entusiasmo contagioso e da una curiosità insaziabile. Il suo essere stato sempre alla ricerca di nuove scoperte lo porterà a creare il blog Observations on film art, gestito insieme alla moglie, che include resoconti delle sue ricerche, scoperte avvenute ai festival cinematografici e discussioni su questioni attuali nella cultura cinematografica. Se da un lato trattava la contemporaneità, dall’altro rivedeva film del passato per mantenere vivo il dibattito sul cinema, mettendo le analisi al servizio di tutti, e alcune di queste sono poi diventate una serie di cinquanta videosaggi per Criterion, con il quale ha collaborato anche in diverse occasioni, come nel caso di commenti per alcuni DVD.
Come riporta la Wisconsin-Madison University, il suo programma di ricerca consiste in tre filoni principali: il primo è dedicato ad analisi stilistiche di singoli film o registi (da ricordare soprattutto la sua ammirazione per Ozu, sul quale scrisse Ozu and the Poetics of Cinema, 1988). Il secondo consiste, invece, nell’analisi degli stili cinematografici delle industrie, spaziando dai tipi di tecnologie usate alle modalità di produzione. In The Classical Hollywood Cinema: Film Style and Mode of Production to 1960 (1985), si concentra proprio sull’industria della Hollywood classica, provando a descrivere il modo in cui sono realizzati i film, evidenziando le diverse scelte di stile attuate e come queste erano influenzate dalla tecnologia disponibile e dalle abitudini dei registi. Questa stessa metodologia sarà poi ripresa e applicata in Storia del Cinema – Un’introduzione. Allo stesso modo è significativo il suo enorme contributo allo studio del cinema orientale e, in particolare, di quello di Hong Kong, sul quale scrisse Planet Hong Kong: Popular Cinema and the Art of Entertainment (2000), considerato ancora oggi uno dei migliori testi sull’argomento. Infine, Il terzo filone prevede la teorizzazione del ruolo dello spettatore cinematografico nell’esperienza di visione del film. Bordwell era associato ad un approccio metodologico detto neoformalismo, basato sull’esistenza di una distinzione tra le proprietà percettive e semiotiche di un film. Per lui, gli spettatori creano significato dai film utilizzando la loro comprensione delle regole del cinema, la conoscenza delle diverse storie e le esperienze di vita, per interpretare i segnali visivi e sonori forniti dal film. Chi guarda vive quindi in una condizione di onniscienza, che cresce di consapevolezza man mano che il film prosegue e svela l’intreccio nella sua interezza.
Tuttavia, riassumere in queste poche battute l’intero e prolifico contributo di David Bordwell al mondo degli studi sul cinema risulta decisamente un’impresa impossibile. «Potrebbe aver visto più film di chiunque altro in vita» commenta Christian Blauvelt, caporedattore esecutivo per IndieWire, che continua: «era vero? Impossibile stabilirlo, e la cinefilia di Bordwell non è mai stata una questione di vanto o di accumulo di conoscenze per guadagnare punti, ma piuttosto di condivisione con gli altri e di arricchimento della nostra comprensione collettiva del cinema». Perché David Bordwell amava e ammirava più di ogni altra cosa il cinema, e noi non possiamo che omaggiarlo continuando a leggere, ascoltare e vedere i suoi lavori, sorprendendoci insieme a lui dell’incessabile fascino della settima arte.