Il 15 gennaio 2025 è stata rilasciata sulla piattaforma Netflix la nuova serie ACAB (trailer), ispirata all’omonimo film diretto da Stefano Sollima. Gli episodi che la compongono seguono le vicende lavorative e personali di una squadra antisommossa del Reparto Mobile di Roma. La narrazione affonda le sue radici nella vita e nelle dinamiche interne di un gruppo di poliziotti, con uno sguardo critico sulla violenza, l’alienazione e il degrado psicologico che caratterizzano il loro lavoro quotidiano, soprattutto durante le manifestazioni e le proteste sociali.
Tra gli agenti di polizia torna a vestire i panni di Ivano Valenti, chiamato Mazinga dai colleghi, Marco Giallini. Il suo personaggio si rivela ancora una volta un leader, ruvido, intimamente controverso, dai metodi alquanto discutibili. Al suo fianco troviamo Michele Nobili (Adriano Giannini), nuovo capo della squadra mobile, testardo, compromesso dalle manifestazioni che metteranno a dura prova la sua moralità. La poliziotta Marta Sarri (Valentina Bellè), unica donna della schiera, con un passato di violenze subite, madre single e inarrestabile. Poi, l’agente Salvatore Lovato (Pierluigi Gigante), veterano di guerra, ossessivo, incapace di stringere forti legami. Infine, il vero caposquadra, Pietro Fura (Fabrizio Nardi), ostinato e inamovibile, contrario al cambiamento.
I protagonisti sono segnati dalla loro esperienza lavorativa, spesso disillusi e frustrati, che si trovano ad affrontare la violenza non solo nelle manifestazioni, ma anche dentro e fuori dalla loro divisa. La serie esplora come l’esperienza sul campo può consumare e corrodere le persone, spingendole verso scelte morali discutibili e un senso di impotenza di fronte all’irrazionalità del mondo.
Uno degli aspetti centrali di ACAB è l’esplorazione della violenza, sia quella perpetrata dai manifestanti che quella compiuta dalle forze dell’ordine. Le manifestazioni, in particolare quelle di protesta, sono rappresentate come momenti di forte conflitto. Gli scontri tra polizia e manifestanti vengono mostrati senza filtri, con una durezza visiva che rende il dolore e la frustrazione palpabili.
La violenza delle manifestazioni, però, non è solo una questione di atti fisici. La serie suggerisce una violenza perlopiù simbolica. Essa nasce dalla frustrazione di gruppi sociali che si sentono emarginati o ignorati dalle istituzioni, e dalla reazione di uno Stato che cerca di mantenere l’ordine a ogni costo, talvolta anche attraverso l’uso eccessivo della forza. In questo contesto, la violenza non è mai giustificata, ma diventa quasi inevitabile: le manifestazioni violente sono lo specchio di una società incapace di dialogare, dove il conflitto esplode senza alcuna possibilità di soluzione pacifica.
ACAB, in fondo, mette in luce le profonde oscurità delle forze dell’ordine. I componenti della squadra antisommossa sono rappresentati come individui disincantati, che vivono il loro lavoro come una lotta quotidiana contro la brutalità della strada. Tuttavia, la costante tensione tra “dovere” e “violenza” mina la loro morale, portandoli a una sorta di sfiducia generalizzata nei confronti della società. La divisa, che dovrebbe essere un simbolo di ordine e giustizia, diventa per loro un peso, una gabbia.
Grazie alla straordinaria regia di Michele Alhaique, capace di evidenziare le diverse sfaccettature della violenza e i conflitti interiori degli agenti, lo spettatore riesce a confrontarsi con la crudità dell’azione, senza offrire facili soluzioni o giudizi. Inoltre, l’esperienza del cast mette in risalto fragilità e sofferenze di ogni singolo personaggio nei minimi particolari.
La serie ACAB propone una riflessione sulla frattura tra le istituzioni e i cittadini, sulla disillusione e sulla perdita di speranza in un sistema che sembra incapace di rispondere alle sue contraddizioni. Un lavoro di regia e scrittura ben riuscito, che pone all’attenzione del pubblico le difficoltà celate dietro la divisa.