«Articolare, non ricordi?» lo chiede la giovane Regan di Millicent Simmonds prendendo tra le proprie mani il volto ispido di Emmett del nuovo arrivato Cillian Murphy. Sono passati 474 giorni dall’avvento degli alieni che ha sconvolto per sempre il corso del vissuto umano. Per John Krasinski, in A Quiet Place 2 (trailer), dopo 474 giorni dell’umanità non ci sono altro che residui, spiccioli frammenti incastonati sotto lo sporco delle mani o del palmo del piede nudo che solca la terra nel tentativo di far meno rumore possibile.
John Krasinski, l’uomo buono, volto rassicurante da novello USA man come lo è stato, e lo è, Tom Hanks ma con la fisicità possente da soldato da prima linea – e infatti è anche Jack Ryan. John Krasinski, che si è scoperto essere un regista sopraffino, cosa che conferma con questo secondo capitolo che va ad aprire con il giorno 1 della catastrofe, in un prologo magnifico dall’alto contenuto tensivo in cui l’actor/director si concede su schermo per poi eclissarsi con immensa dignità nella successiva quasi ora e mezza di film.
«Articolare, non ricordi?» viene chiesto all’uomo aspro Emmett, indurito nella scorza dalle intemperie di una vita che ha perso ogni contorno che le permetteva di essere definita tale. I figli, la moglie, la quotidianità. Il vocalizzare, il comunicare. In A Quiet Place 2 i cattivi non articolano, restano in silenzio con gli occhi rossi, accecati dalla brutalità della sopravvivenza. Ma cos’è l’articolare in un mondo derelitto dove i mostri ascoltano per cacciare se non un atto di resistenza mosso all’abbrutimento?
Articolare è emotività, è sentimento di comunione che passa anche dalla vibrazione fisica, dal tocco che è leitmotiv portante e sintagma all’interno di una regia che lo utilizza come efficace veicolo di switch tra il regno del silenzio e quello di un mondo silenzioso. Attorno al tocco Krasinski crea un’impalcatura elastica che prende il via esattamente dove ci aveva lasciati il primo film della coppia d’oro che il regista forma assieme alla moglie e qui co-protagonista del film Emily Blunt.
Evelyn Abbott resta una custode di ciò che più conta in un pianeta collassato, ovvero del recente nascituro trasportato all’interno di una valigetta che in alcuni frangenti pare illuminarsi come quella di Pulp Fiction, ma del cui contenuto siamo resi partecipi e che in un contesto come quello di A Quiet Place 2 è il MacGuffin per eccellenza: il futuro. Ma Evelyn è appunto co-protagonista, così come lo è la maceria d’uomo Emmett.
Gli adulti sono stanchi, glielo si legge chiaramente sul volto, e a farsi avanti sono quindi i giovani come Regan e il fratello Marcus (Noah Jupe, in parte ridimensionato rispetto al primo capitolo) in un film che si prepara già al seguito configurandosi sostanzialmente anche come un coming of age a tutti gli effetti. Ci sono anche i binari che Regan segue zaino in spalla come in Stand by Me, sorretta da un racconto che in sceneggiatura – sempre di Krasinski – è ridotto forse troppo all’essenziale ed è impoverito da una mancanza di organicità che viene meno ora che gli Abbott sono costretti ad aprirsi a ciò che c’è fuori del proprio nucleo familiare.
L’ossatura, il muscolo e il nervo ci pensa però a darli la sapienza registica che non rinuncia praticamente mai a tessere le fila del cardiopalma, al mettere di fronte a una costruzione della tensione calibrata colpo su colpo. A Quiet Place 2 a un certo punto si separa a metà e si fa bicefalo, occasione che Krasinski coglie per mettere in dialogo le parti e lasciare che la distanza fisica faccia da punto di raccordo all’interno di una suspense raddoppiata e che rimbalza di continuo avanti e indietro. Il film parla e grida per immagini assemblate insieme in un racconto visivo dove si sperimenta una narrazione alternata estremamente d’effetto e che utilizza parallelismi per creare una mitologia interna, un passaggio di consegne giocato su inquadrature come quella verso il finale che ricorda un Artù che estrae la spada dalla roccia.
A Quiet Place 2 convince e fa stringere i braccioli della poltrona, riducendosi in tutto e per tutto a vibrazione nervosa pur non accantonando mai la possibilità dell’articolare, con i gesti, con il tocco. È un capitolo di mezzo intelligente che sa perfettamente dove potersi spingere e quando doversi fermare, già preparato ad allestire il palco per ciò che verrà dopo.