Perdutamente lontano dalla lirica immersione nel buio della sala cinematografica, l’on-demand ha oramai ridimensionato la nostra ordinary life, semplificando enormemente l’incessante ricerca di una visione capace di esaltarci e stupirci. Disponendo di sconfinati cataloghi filmici e seriali, i tanti servizi streaming ci lasceranno sedere nella monotona oscurità di una stanza già noiosamente nota, impedendo così la rituale interazione condivisa di fronte al famigerato grande schermo. Inoltre, questi ci condurranno ad una metamorfosi miseramente individuale tra il nostro corpo-mente e il personalissimo piccolo schermo.
Nonostante questa fin troppo comoda esperienza di sguardo casalingo, l’on-demand si configurerà anche come eccezionale fonte di ricerca di titoli in grado di sensibilizzare lo spettatore su questioni vive nel dibattito social-culturale contemporaneo. Questi film riusciranno, più esplicitamente o implicitamente, ad informare lo spettatore anche su quei passaggi storici che hanno informato la memoria collettiva. In tal senso, A.I. – Intelligenza artificiale (2001, trailer) di Steven Spielberg (disponibile su Netflix) racconterà un’angosciante favola di vita e morte che incorpora la sfiancante tensione mondiale relativa al tanto atteso passaggio secolare e/o millenario.
Inestimabile, per la sua capacità di iscriversi in una discussione profonda sull’avanzamento tecnologico e il rapporto umano e non-umano, e spaventoso, per il suo insistente focus circa i dettagli che contraddistinguono l’abisso tra biologia e artificio, A.I. – Intelligenza artificiale indaga la battaglia macchinosamente interiore del mecha (robot) David (Haley Joel Hosment), programmato dalla Cybertronics per essere il figlio meccanico perfetto di una famiglia mostruosamente narcisista. La sceneggiatura, scritta dallo stesso Spielberg, dipinge un catastrofico quadro di umanità spezzate da tragedie personali e non manca di mostrarci l’insano egoismo delle cellule familiare; quest’ultimo cresce come una patologia cronica nel primo quarto di film. La madre Monica e il padre Henry (rispettivamente Francis O’Connor e Sam Robards) acquisteranno David per sopportare la momentanea assenza del figlio biologico Martin (Jake Thomas), costretto all’ibernazione a causa di una malattia apparentemente incurabile.
Se in un primo momento il disegno familiare sembra essere ricomposto – intanto abbiamo conosciuto il disperato desiderio di ricostruzione familiare di Henry e i dubbi maternamente autentici di Monica che vede sostituirsi il figlio biologico con l’Altro meccanico – il ritorno di Martin a casa provocherà la delirante spaccatura di uno scenario già fragile in origine e la ricostituzione dei confini biologia-artificio. David, proprio come i figli degli umani, svilupperà un amore incontaminato per la madre “adottiva” Monica e l’invidioso Martin, geloso del nuovo arrivato, lo ingannerà colpendolo al cuore.
Come prima cosa Martin indurrà David a tagliare di nascosto i capelli della mamma, come “prova del suo infinito amore per lei”, e poi lo tormenterà psicologicamente ponendogli domande intrinsecamente umane: Quanti anni hai? e Chi è la tua vera Madre? sono questioni lontane dal pensiero di una macchina, eppure accenderanno nel piccolo David lo stesso desiderio di indagine dell’ignoto che anima l’umano. Queste sono questioni che costringono l’eroe ad intraprendere un viaggio di conoscenza del Sé oltre i confini del mondo.
Il viaggio del piccolo David nel pericolosissimo mondo extra-ordinario di una terra semi-devastata comincia col tragico abbandono dello stesso da parte di Monica. David ha fallito nell’essere il figlio-macchina perfetto e, parallelamente, ha sviluppato dei sentimenti d’amore filiale nei confronti della mamma “adottiva”. A rendere ancor più estremo e devastante la scena dell’abbandono – sia per i personaggi che per lo spettatore – è riconoscere che Monica guarda il mecha David come una madre guarda il figlio biologico.
Quello della madre – Monica è costretta a “rinunciare” al figlio David a causa delle insistenze di Henry e Martin – sarà dunque uno tra gli atti umanamente più strazianti che si possano mai vedere. Tuttavia, tale gesto non sarà soltanto crogiolo della più dolorosa delle separazioni, ma si rivelerà anche l’atto iniziatico di un percorso ad ostacoli nelle selvagge città al neon di un’America lontana. Evidentemente, nell’universo di A.I – Intelligenza artificiale, l’unico modo che un mecha ha di crescere spiritualmente è di far fronte all’egoismo umano e di credere in un ideale da “avverare” con tutta la sua volontà.
I motori che faranno scattare la sete di vita di David saranno la lettura del Pinocchio di Carlo Collodi e la promessa alla madre di “diventare un bambino vero”. Le ricompense saranno il ricongiungimento con la stessa e l’accettazione da parte della famiglia che lo ha precedentemente cacciato. Il dolcissimo mecha si imbarcherà dunque in un viaggio fisico e metaforico alla ricerca della fata turchina, l’unica in grado di esaudire il suo desiderio. Se dunque, nel primo quarto di film, Spielberg ci ha presentato le fondamenta del viaggio attraverso un’accesa analisi sulla caduta delle istanze genitoriali – tema fortemente legato alla frammentazione e scardinamento, a seguito del passaggio secolare/millenario, di quelle “norme” socialmente e politicamente radicatesi nell’immaginario collettivo (la famiglia è tra queste) – ora, nei restanti tre quarti, il regista-sceneggiatore racconterà il percorso di conoscenza del Sé da parte della macchina, non privo di complicazioni ma neanche di amici.
A.I. – Intelligenza artificiale di Steven Spielberg è una parabola angosciante e metaforica sulla possibilità del non-human di farsi individuo. Unendo lo schema de Il Viaggio dell’Eroe (da Christopher Vogler) al comparto favolistico di Pinocchio (da Collodi), Spielberg ricrea un vortice spettrale, e soltanto a tratti umoristico, di emozioni, interpretando così il passaggio millenario come una prova di sofferenza e sostituzione delle persone. Gli umani sono, infatti, letteralmente rotti nello spirito e nelle azioni: Geppetto è un professor Hobby (William Hurt) malato di onnipotenza, sadismo e abbandono (ha perso la prole biologica), che costruisce figli in grado di sviluppare coscienza e sentimenti solo per farli soffrire; altrettanto sadico e masochista è il Mangiafuoco Lord Johnson-Johnson (Brendan Gleeson) che cattura robot abbandonati ma ancora senzienti e lascia che un pubblico di “estremisti della carne” li distrugga per divertimento. Si incontreranno in futuro, ci dice Spielberg tramite certi personaggi, uomini che vorranno dominare fino in fondo la macchina (e in caso distruggerla) per non essere sostituiti.
Fortuna che a fianco di David, all’interno di questo scenario desolante, ci saranno i fedelissimi Teddy (Jack Angel), un peluche orsacchiotto meccanico e Grillo parlante, e Joe (Jude Law), un mecha gigolò e redento Lucignolo. Il passaggio millenario, come vediamo, ha costretto gli umani a sviluppare nuove forme di piacere (Joe) e nuovi educatori (Teddy). Emerge così la contraddizione umana: sviluppare tecnologie che provvedano a servirci e, allo stesso tempo, dominarle fino a distruggerle o abbandonarle. Seguendo tale ragionamento, A.I. – Intelligenza artificiale sarà un film che parla di Noi attraverso lo sguardo meccanico e innocente di un bambino, una riflessione sulle contraddizioni che ci ha riservato il passaggio millenario.