Dopo Tutti lo sanno, Asghar Farhadi ritorna a dirigere nella sua terra natale dell’Iran con la stessa bellezza e bravura dei suoi due storici capolavori, Una separazione e Il cliente. Il regista iraniano con A Hero (trailer) mette a nudo una società ipocrita ed egoista. Il protagonista Rahim (Amir Jadidi) viene arrestato perché non è riuscito a saldare un debito. Dopo aver ottenuto il permesso di uscire di prigione per due giorni, l’uomo tenta di convincere il creditore a ritirare la denuncia. La soluzione sembra arrivare dalla donna (Rana Azadivar), amante segreta di Rahim, che gli cede una borsa contenente una modica quantità d’oro. Il problema di fondo è di chi sia la borsa, e la scelta di restituirla al legittimo proprietario apre a Rahim una strada che lo spettatore percepirà ambigua.
Il regista iraniano torna a trattare abilmente sia il tema del legame tra genitori e figli, che il problema di debiti e creditori, offrendo una labile e vacillante linea di demarcazione tra giusto e sbagliato, buoni e cattivi. Egoismo e intransigenza, sotto il velo menefreghista e invadente dei social, governano una società che continua a perseguire e preservare l’onore, un’ennesima barriera nelle interazioni sociali che il figlio di Rahim riesce a scalfire. Anche l’istituzione carceraria e l’associazione di beneficienza offrono una finta magnanimità, quest’ultima spinta dall’unico vero ago della bilancia: il pubblico che osserva e tifa le azioni “eroiche” di Rahim.
L’invilupparsi della trama non impedisce allo spettatore di riflettere su una tematica importante: il potere inglobante e mistificatorio di internet e dei social. La tecnologia prende il sopravvento sulle interazioni fra gli individui, sviando da una più approfondita disamina che andrebbe condotta per risolvere, o perlomeno chiarire, la questione che ruota attorno a A Hero. I fallaci compromessi che si tentano di trovare per una più facile risoluzione del problema, sono frutto di un ambiente mediale che impoverisce eticamente e moralmente un’umanità sempre più alla deriva. L’ingenuità che caratterizza Rahim è una facile esca per la televisione. Ogni cosa può diventare virale, ogni cosa viaggia più veloce su internet.
Farhadi non lascia nulla al caso ed è sempre stato un maestro nell’attenzione ai dettagli. Con A Hero il regista, anche sceneggiatore, modella grandiosamente i personaggi incentivando nello spettatore continue riflessioni persino ad opera conclusa. Ogni minimo movimento, sguardo o gesto, riesce a rivelare qualcosa in più di ogni singolo individuo. La macchina da presa è in grado di restituire quelle emozioni che i personaggi nascondono e non vogliono esprimere. Il silenzio si fa carico di una forza che Farahdi fa esplodere similmente ai suoi due film più conosciuti.
Il titolo del film potrebbe far riferimento al padre, uomo che tenta di costruirsi, attraverso la televisione e i social, una buona immagine nell’opinione pubblica. Ma quella che sembra una buona azione ingigantita e edulcorata sotto i riflettori dei media, diventa il punto di partenza per una serie di ricatti e sotterfugi che occultano la verità per la salvaguardia dei propri interessi. Come in ogni film di Farhadi che si rispetti, un’innocua palla di neve diviene valanga e alla fine della visione lo spettatore rimarrà con molte domande in sospeso. Il piccolo e silente personaggio sarà l’unico ad aiutare il padre, non garantendogli la salvezza del mero onore, ma aprendogli gli occhi per riconoscersi come genitore. Una speranza che non andrà a frenare l’inevitabile. A Hero è sicuramente una delle opere più riuscite di Farhadi.