A Bigger Splash si tuffa violentemente all’interno di conflitti latenti e traumi passati, facendo riaffiorare tensioni e debolezze che, in seducente gioco di Eros e Thanatos, di passione sfrenata e incontrollata gelosia, creano un ponte ideale tra presente e passato, tra ciò che è e ciò che è stato.
Presentato in concorso alla 72esima Mostra del Cinema di Venezia, l’opera di Luca Guadagnino si delinea come libero rifacimento del torbido La piscine (1968) di Jacques Deray, in cui il melodramma, ibridato in un distorto thriller, trasgredisce le regole e i limiti del genere gettandosi (volontariamente?) nel grottesco, per burlarsi dell’intera vicenda, vanificandola. Nel calore estivo della selvaggia Pantelleria, a bordo piscina, la rockstar bowieniana Marianne (Tilda Swinton) e il suo giovane amante Paul (Matthias Schoenaerts ) cercano rifugio, l’una da un intervento alle corde vocali che l’ha resa afona, l’altro da un tumultuoso passato da alcolista che ha impresso sul suo corpo i segni di un tentato suicidio. Il voluto isolamento dei due amanti è però brutalmente interrotto dal caldo scirocco che, presagio di tempesta, accompagna l’impetuoso arrivo di Harry (Ralph Fiennes), ex produttore ed amante di Marianne, e della figlia Penelope (Dakota Johnson) che spazzano via brutalmente le sicurezze degli altri personaggi, insinuandovi le logiche della passione.
La piscina, luogo del dinamismo, simbolo di incontro e scontro, di inizio e fine, assume le sembianze di uno specchio attraverso cui guardare e guardarsi, per poter afferrare con gli occhi ciò che le parole non dicono. L’incomunicabilità che regna tra i personaggi, e che lega i loro destini, si esprime negli sguardi, nei piccoli gesti impercettibili, nei silenzi che si disperdono come un tramonto sul mare. Anche la nudità, spesso ostentata, tradisce la profonda incapacità di mettersi realmente a nudo davanti agli altri. Se la piscina è il teatro in cui si mette in scena il dramma borghese del quartetto, l’ideale scacchiera in cui si consuma sotto il sole cocente il gioco di sensualità e provocazione, l’isola di Pantelleria, con il suo fascino selvaggio e incontaminato, assume le sembianze di vero personaggio. Acquistando una propria corporeità, accompagna la progressiva crescita del film e, accordando le proprie condizioni metereologiche alle necessità di trama, chiede di essere osservata, vissuta, capita. Pantelleria è simbolo di frontiera, luogo limite, quello stesso limite etico, morale e umano con cui i personaggi, rinchiusi come topi in trappola, dovranno fare i conti.
Harry il vorace predatore che “non ha mai creduto nei limiti”, diventa il motore dell’azione, l’elemento disturbante e perturbante, il serpente tentatore che forza a mettere in discussione, ad infrangere i propri limiti, come dimostra simbolicamente la danza sfrenata dal sapore bacchico nel quale si lancia sulle note di Emotional Rescue dei Rolling Stones. Il desiderio insaziabile si trasfigura nell’eccesso e nell’esuberanza di Harry e nella fresca sensualità della giovane Penelope, rivelandosi quale ideale filo conduttore dell’opera e trascinando, come le onde che si infrangono sulle spiagge di Pantelleria, i personaggi in un frenetico “gioco di coppie” in cui soltanto il “sacrificio” potrà ripristinare i necessari equilibri.
La colonna sonora, anch’essa soggetta alle leggi del desiderio e dell’attrazione, è viva e pulsante, colma i silenzi, permea ed incornicia personaggi, situazioni e paesaggi. Rendendosi elemento unificante e destabilizzante, si staglia come un’ombra invisibile ma percepibile a tal punto da rendere ogni parola superflua e inconsistente.
Sfrenato inno alla libertà, anche e soprattutto artistica e filmica, trionfo di sensualità ed erotismo, A Bigger Splash configura un universo sensoriale trasgressivo ed eccitante, che non soltanto sembra rimanere irrisolto, ma destinato a rinchiudersi silenziosamente in se stesso, come se niente fosse mai accaduto.
Flavia Ficoroni