Fly me to the moon, la recensione: le due facce dell’America

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Fly me to the moon – Le due facce della luna (trailer) è il nuovo film della Apple Studios diretto da Greg Berlanti e scritto da Rose Gilroy. Un’accattivante commedia romantica che porta sul grande schermo la prima collaborazione ufficiale tra Scarlett Johansson e Channing Tatum. Per i due non è la prima volta che condividono il set, ma la primissima in cui condividono una scena, e lo fanno come protagonisti.

Ambientata durante la fine degli anni 60’, la storia si svolge in una specifica arena di gioco: Cape Canaveral, USA, 1969. Le coordinate sono chiare, si riferiscono alla missione dell’Apollo 11; in poche parole lo sbarco sulla luna. I due protagonisti: Kelly Jones (Scarlett Johansson) è uno squalo nel settore del marketing, la più esperta e temuta di NY condivide la scena Cole Davis (Channing Tatum) direttore del programma di lancio dell’Apollo 11. I due protagonisti vengono da contesti sociali e professionali opposti, non una novità per una commedia romantica, di fatto questo li porterà ad un iniziale e lungo scontro sul posto di lavoro. I due proveranno un particolare rapporto di attrazione e odio, fino alla fine del film, in cui scopriranno di avere entrambi un passato tormentato; realizzeranno di essere più simili di quanto credevano.  

L’innesco della storia avviene quando a bussare alla porta dell’ufficio di Kelly sarà “il governo degli Stati Uniti” in persona (un uomo misterioso) per conto dello stesso presidente. Quest’uomo le propone di lavorare per la NASA e realizzare una campagna marketing ad hoc per far sì che gli americani “tornino a sognare le stelle”. Kelly alla fine scoprirà di essere stata manipolata ritrovandosi a lavorare per quella che è considerata, da molti complottisti, la più grande bufala della storia: il video del finto sbarco sulla luna. Che gli astronauti atterrino o meno sul satellite non importa, in televisione verrà trasmesso il girato in studio. Bisogna battere la Russia, ad ogni costo. La protagonista è totalmente consapevole che le azioni necessarie per avanzare di carriera (e non solo) si scontrano con gli ideali dell’uomo di cui si sta innamorando, ogni menzogna in più è un passo lontana da Cole. Di fatto, Cole Davis è un uomo integro, dalla moralità incorruttibile. Per lui questa missione rappresenta tutta la sua vita nonché il suo riscatto (in quanto è lo stesso direttore della tragedia dellApollo 1).

I due inizieranno da subito a vivere conflitti di interessi sul posto di lavoro, a seguito di un apparentemente tranquillo ed innocente meet cute. I valori delle due personalità si scontreranno sul campo di battaglia del Kennedy Space Center. In antitesi a Kelly, Cole rappresenta l’ingenuità incorrotta, crede che la sua missione sia “solo” quella di portare i suoi uomini sani e salvi sulla Luna, come un bambino sembra essere all’oscuro delle manipolazioni che riceve ogni giorno dal suo paese, finché non le vive in prima persona. Dopo un iniziale impenetrabilità ed odio per le tecniche della donna, Cole non riuscendo ad ottenere i consensi dal governo (e quindi fondi) di cui ha bisogno per procedere con la missione, cederà chiedendo aiuto a Kelly, rifugiandosi ingenuamente in quelle bugie che scoprirà non essere senza un prezzo. Kelly è però certa che l’uomo non potrebbe mai perdonarle il video di falso sbarco, così la donna inizierà a vivere un conflitto interiore che la porteranno inevitabilmente alla fine del film a prendere una decisione definitiva.

Tuttavia, durante la visione ci si rende subito conto che non si tratta di un film sull’atterraggio dell’Apollo 11, o perlomeno non nel senso storico e scientifico del termine. Non vedremo nessun Tom Hanks fluttuare in qualche cabina spaziale per 120 minuti, quello che vedremo è una docile ma non velata satira sul panorama mediatico di quegli anni, saturato dalla Guerra Fredda che vedeva coinvolte l’America e la Russia nella famosa “corsa allo spazio”. Una critica ambientata in un panorama datato che non è sconnesso dall’attualità, ma che ci fa riflettere e prendere su quanto la manipolazione mediatica ci tenga ancora oggi per la gola. Mantenere una distanza storica è necessario per non far vivere allo spettatore un’angoscia distopica nei confronti del panorama contemporaneo promovendone però, non una distruzione nichilista, ma una consapevolezza. Romanzandolo, i due protagonisti raffigurano, come dice il titolo stesso, le due facce della Luna, o sarebbe meglio dire le due facce dell’America, perché, nonostante il tema sia universale, questo è un film dall’America sull’America.

Kelly Jones incorpora in sé la faccia più buia di questa luna: tutto negli Stati Uniti si trasforma in immagine. Esistono, si producono e si consumano solo immagini, non la verità, quella non è attraente, il godimento è percepito attraverso di esse. Paradossalmente sono tutte le immagini che ruotano intorno alla missione a renderla attraente per gli americani ed il resto del mondo, non il più “grande passo dell’umanità” in sé. Vedendo il film non sappiamo se il primo pilota Neil Amstrong sia effettivamente capace di atterrare sul suolo lunare, ma sappiamo che porterà al polso, e nello spazio, un orologio OMEGA Speedmaster Professional. Da adesso chiunque lo porti sarà un astronauta, anche se “non dobbiamo mandare queste cose nello spazio, dobbiamo solo dirlo”.

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Cole, al contrario, incarna l”altra faccia, quella candida della nostra innocenza, immersi ingenuamente in queste immagini. Cole è un pilota, un uomo che ha rischiato di morire, che ha passato la maggior parte della sua vita in missione o dentro Cape Canaveral soffrendo per il fallimento e la tragedia del suo Apollo 1. Non comprendendo la superficialità con cui Kelly tratta la missione e la leggerezza con cui manipola le menti degli americani, Cole, si schiera inizialmente in aperta polemica contro il suo lavoro ma più avanti cederà ai vantaggi professionali di questi metodi, spinto anche con forza, anzi obbligato, dal governo accetterà delle condizioni per lui difficili. L’uomo capisce che non può fuggire, esattamente come noi, da questa situazione perché “così va il mondo”, ma che può osservare queste immagini da fuori senza farsi coinvolgere e catturare da esse, lottare affinché il mondo veda la realtà.

La più aspra critica rivolta dal film è nei confronti dei media e di tutto il panorama pubblicitario. Ovviamente, come anticipato, trattandosi di una commedia romantica la satira è sottile ma non troppo velata e la troviamo soprattutto all’interno dei dialoghi di Kelly Jones che fanno riferimenti diretti ad un vasto panorama pop che tutti conosciamo. Ad essere maggiormente tirati in causa sono Hollywood e, ancor di più, la televisione. Bisogna che Neil Amstrong atterri in televisione e che tutto il mondo lo veda insieme all’America. Per il funzionario governativo in incognito Moe Burkus (Woody Harrelson) i compiti di Kelly sono ancora più importanti da portare a termine di quelli di Cole, che manipola con frasi del tipo: «la dittatura impone il silenzio (URSS), ma noi no». Questo vuol dire essere americani. Ciò di cui si deve assicurare Cole è che tutti fili liscio, preferibile ma non necessario, in quanto l’America sbarcherà comunque sulla Luna, ad ogni costo. Ciò che conta non è che l’Apollo atterri ma che Kelly ottenga il prime time dell’ABC, perché «è questo ciò che serve» dato che «Washington guarda la TV». Va tuttavia sottolineata una delle citazioni più scottanti e fini del film, ossia quando durante alcuni intoppi durante la messa in scena del finto sbarco sulla luna Kelly afferma: «dovevamo prendere Kubrick », riferendosi direttamente ad una teoria cospirazionista che vedrebbe il noto regista come direttore del filmato. Una reference di nicchia di certo nota a tutti i cinefili.

Un film sulla manipolazione che si nasconde dietro il “mare della tranquillità” del sogno americano. Negli USA tutto è possibile e bisogna ricordarlo agli “spettatori” di tutto il mondo. Di fatto cosa è più importante dello sbarco sulla luna? «Vedere l’America che batte la Russia alla tv».

Al cinema dall’11 luglio.

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